domenica 12 giugno 2011

Un venerdì sera

È passata da poco l'una quando lascio sotto casa loro una coppia d'amici. Sono contento di essermi preso la responsabilità della guida, perché vino e birra sono scorsi a fiumi durante la serata, che abbiamo trascorso fuori città in una compagnia insolitamente allargata di amici e di amici di amici. Sono contento di averli avuti in macchina, perché sulla strada del ritorno abbiamo parlato tranquillamente di politica e di berlusconismo (che non è affatto la stessa cosa che parlare di politica); se non ci fossero stati loro con me, avrei passato una mezz'ora buona al volante a rimuginare sulla mancata rissa alla festa, a soppesare le dure frasi che ho pronunciato e a rammaricarmi per quelle non dette. Solitamente non discuto di politica, ma il vino ha sciolto la lingua ad uno dei presenti, che da sobrio si dichiara un tiepido berlusconiano, ma da alticcio s'è palesato il fervente fascistello quale lo sospettavo; e così ha pensato bene di mettersi a punzecchiare un po' tutti quelli che avevano idee palesemente avverse, rovesciando in politica discorsi che nulla vi avevano a che fare. Insomma, cercava provocatoriamente uno scontro, non so a quale pro, se non uno sfogo perché, dopo i ballottaggi, evidentemente ancora gli rodeva il culo. Era talmente sgradevole che alla fine non sono riuscito a non rispondergli a tono, e graziadio ero sobrio sennò finivamo a sputi. Ma se è difficile avere un confronto verbale con un berlusconiano sobrio, potete figurarvi che razza di discorsi escono dalla bocca impastata di un berlusconiano ubriaco: robe che neanche la Santanché ai tempi in cui ancora aveva il ciclo.
Quando scendo dall'auto però tutto è lontano, l'umore è buono. Anche il fatto di non aver trovato il parcheggio sotto casa è in quel momento un fastidio leggero. In realtà un posto c'era, stretto tra un ingombrante furgone e la Golf rossa dei miei vicini di pianerottolo (la coppia della lavatrice), ma al secondo tentativo fallito di infilarmici, rinuncio per non perdere la pazienza.
La strada su cui si affaccia il mio condominio è a senso unico e sfocia su una delle strade principali del quartiere; la traversa successiva è un altro senso unico, in direzione opposta, ed è lì che m'infilo e subito trovo un comodo posto per la mia macchina. Raccolgo un paio di cose, chiudo l'auto e mi dirigo verso casa.
La distanza tra gli angoli delle due traverse corrisponde alla lunghezza di una fermata d'autobus, un passo carrabile e quattro posteggi. Ed è in questa distanza che si svolge la mia successiva mezz'ora.
Qualche passo avanti a me camminano tranquille tre persone. Sul lato opposto della strada c'è un locale ancora affollato, con un piccolo plateatico all'aperto dove almeno una decina di avventori si stanno godendo la frescura della notte con i bicchieri in mano. Lancio un'occhiata per vedere se riconosco qualcuno e poi infilo la testa nella mia tracolla in cerca delle chiavi di casa. Quando riemergo dal borsello, un quarto personaggio ha avvicinato il terzetto avanti a me: dice qualcosa che non afferro e riesco a mettere a fuoco che è ubriaco fradicio, prima di vederlo brandire una bottiglia vuota e con essa colpire al volto uno dei ragazzi. Tutto sembra congelarsi negli attimi in cui i cocci di vetro cadono a pioggia sul marciapiede.
Il ragazzo colpito, colto evidentemente di sorpresa, all'inizio non dice una parola né accenna una reazione, mentre il sangue comincia a scendergli copioso dall'occhio sinistro. Io ho già in mano il cellulare quando lo sento chiedere con un'improvvisa rabbia perché? e lo vedo assestare uno spintone al suo aggressore. I due amici con cui s'accompagnava, un ragazzo ed una ragazza che gli camminavano un passo avanti ed avevano proseguito senza accorgersi del quarto uomo, realizzano quel che è successo e tornano indietro: lui affronta a muso duro il nemico che, ho il sospetto, ancora non ha nemmeno realizzato quanto ha appena combinato; la donna soccorre l'amico ferito e poi comincia ad invocare un'ambulanza. "Chiamo il 118, tranquilli" dico, e così faccio; l'operatore dice che manderà qualcuno, ma mi riaggancia prima che abbia la prontezza di suggerirgli di mandare anche una qualche pattuglia. I toni tra i quattro infatti cominciano ad alzarsi. Intervengo per allontanare il ragazzo ferito, lo faccio convinto a calmarsi e a sedersi sul muretto; ho paura di guardare cosa gli è stato fatto, ma con mio sollievo l'occhio è intatto e lo rassicuro che si tratta solo di un brutto taglio sul sopracciglio, che però continua a sanguinare. Anche il suo amico mi dà l'idea di essere alterato dai fumi dell'alcool, ed alza la voce e le mani sull'aggressore che non sa come reagire. Ho la lucidità di valutare che, disarmato della bottiglia ed intontito dall'ubriachezza, il tizio non rappresenta più un pericolo ed allora intervengo, con la ragazza, per frenare la rabbia ed evitare che la situazione degeneri oltre. Lei mi chiede ripetutamente se ho chiamato la polizia, insiste, e mi convince a chiamare anche il 113. E mentre sono al telefono con la polizia e do loro, involontariamente, le spalle, ecco che, non so da chi, cominciano a piovere le botte. "Qui c'è una mezza rissa..." dico all'operatore, che replica "Una rissa o una mezza rissa?". "Si picchiano per strada" rispondo e penso che non mi pare il momento di sottilizzare: sono tutti per terra, compresa la ragazza, in mezzo alla strada che si menano. Mantengo il sangue freddo ed uno per uno li faccio allontanare.
Il coglione ora fa la parte della vittima e si rifiuta di alzarsi da terra, anzi si trascina in mezzo alla strada. Può essere che, nella mezza rissa, abbia anche sbattuto la testa o comunque si sia fatto male sull'asfalto, ma non mi interessa minimamente; qualsiasi sia stato il motivo della violenza, il ragazzo ferito ha dei bellissimi e tristissimi occhi verdi per cui avrà tutto il mio appoggio e le mie attenzioni.
Passa qualche auto, che rallenta appena passando oltre. Ed in quei pochi minuti di calma prima dell'arrivo dell'ambulanza, realizzo che nessuno si è avvicinato, né un passante né uno degli avventori del bar, lì a pochi passi, che pure non possono non aver visto e sentito tutto. Tutti si tengono a debita distanza, nessuno si è lasciato coinvolgere; nel frattempo sono comparsi da chissà dove due amici del ragazzo ubriaco, hanno un fare strafottente e non mostrano alcuna compassione per il ferito. E sebbene non si degnino di levare le mani dalle tasche, temo che da un momento all'altro possa scoppiare una vera rissa.
Scopro che tutto sembra essere nato dal rifiuto di offrire una sigaretta, cosa che in questa città rievoca fantasmi ed una lezione che nessuno vuol proprio imparare.
Alla fine arrivano l'ambulanza ed anche la polizia. Ferito e feritore vengono caricati su un'unica autolettiga dopo che ad entrambi è stata strappata la promessa di non alzare le mani l'uno addosso all'altro.
La serata finalmente finisce; mentre salgo le scale, rifletto che se avessi trovato libero il mio solito posteggio, sarei rincasato senza accorgermi di nulla e senza sapere mai cos'era accaduto. Proprio sotto casa mia.

2 commenti:

MauroFur ha detto...

l'indifferenza ci sta magiando vivi. tutta la mia ammirazione ed, nonostante l'audacia! posso chiamarti col bat-segnale anche qui, all'occorenza??

Edgar ha detto...

citazione: "chiama, anche se è tardi tu chiama... chiama e io corro da te"

http://youtu.be/4dsgFfKbVTg

...che erano anni che aspettavo l'occasione per 'sta citazione :)