lunedì 31 maggio 2010

Alice Sebold - Amabili resti (The Lovely Bones)

Pubblicato in Italia dalle Edizioni e/o nel 2002, Amabili resti di Alice Sebold, pubblicato lo stesso anno negli Stati Uniti con immediati record di vendita, può meritatamente considerarsi già un classico della letteratura americana. Nei mesi scorsi, per la regia di Peter Jackson (quello de Il Signore degli Anelli) e con la partecipazione della sempre magnifica Susan Sarandon nel ruolo della nonna cinica ed alcolizzata, è finalmente uscito nei cinema il film tratto dal romanzo, ed io volevo assolutamente leggere quest’ultimo prima che mi capitasse di vederne la trasposizione cinematografica.
La storia è ambientata nel 1973 ed è narrata in prima persona dalla protagonista, la quattordicenne Susie Salmon: sveglia ma ancora ingenua, carina, circondata dall'amore di una famiglia perfetta, alle prese con la prova della prima vera cotta, felice della vita che ancora sogna di vivere, è lei, nel primo capitolo del libro, a raccontare i propri ultimi istanti di vita, a descrivere con poche ma efficaci immagini l’orrore e lo sgomento di una ragazzina che viene violata, uccisa e poi fatta a pezzi da un vicino dall’apparenza innocua, che si rivelerà essere un assassino seriale.
Dall’alto del suo angolo di Cielo, così lontana eppure ancora vicina, sarà ancora Susie a raccontare come il mondo reagisce al mistero della sua scomparsa che diventa dramma a poco a poco: come la sua famiglia finisce lentamente ma inesorabilmente in frantumi al cospetto di tante domande che restano senza risposta, come la piccola comunità cittadina affronta la presa di coscienza collettiva che l’orrore può celarsi dentro ogni casa, come procedono le indagini della polizia e come si susseguono i delitti del suo carnefice.
All’inizio, affrontare il dramma è inevitabilmente duro per tutti, anche per il lettore: gli oggetti che appartenevano a Susie, i suoi quaderni, le foto, la sua stanza scatenano ad ogni pagina una ridda di ricordi e di intense emozioni, che riaprono ferite non cicatrizzabili nei personaggi del racconto e prendono alla bocca dello stomaco chi legge. In seguito, capitolo dopo capitolo, quel fottuto medico del tempo lenirà il dolore, offrirà nuove speranze, mischierà con impercettibile ironia le carte in tavola. Ma il cammino è lungo ed impervio: se voler bene a Susie è un attimo, lasciarla andare richiede forza e coraggio.
Se portate lenti a contatto ed avete bisogno di inumidire gli occhi, come il sottoscritto, questo è il libro perfetto. Tanto perfetto che non riesco a trovargli un difetto.

sabato 29 maggio 2010

L'Amore è eterno... finché dura

Le sottocartelle di posta elettronica sono come i cassetti del vecchio comò del nonno: ogni tanto le apro in cerca di qualcosa che non trovo per imbattermi invece in e-mail che avevo scordato di aver archiviato. O che avevo scordato, punto. Ed è stato proprio così che l'altro giorno ho ritrovato alcune vecchie letterine d’amore che mi erano state indirizzate da un vecchio account ormai disattivato.
Il primo input è stato di cliccare su Elimina senza neanche aprirle, senza farsi male. Ma la curiosità (dato che non ne ricordavo proprio il contenuto) l’ha avuta vinta sul buon senso, e così, prima di cancellarle definitivamente, ho dato un’ultima scorsa a quel fiume di parole. Scoprendo, contrariamente a quanto temevo, che esse non scatenavano alcuna ridda di emozioni, né un solo ricordo. Niente.
Una carovana di parole innocue: dichiarazioni d’amore eterno, alcune anche fin troppo pompose, altre imbarazzanti per quanto suonavano ora ingenue all’idea che fossero state scritte da un uomo che più di me aveva dieci anni ed almeno dieci relazioni alle spalle. Però niente, nessuna palpitazione né un fastidio.
Ed allora m’è tornata in mente piuttosto questa citazione (“l’Amore è eterno, ma solo finché dura”), il ricordo preciso di me che nel 2002 la pronunciavo al telefono con Flavya, proprio l’amica che qualche settimana più tardi mi avrebbe presentato il mio amore-carnefice.
Netta la sensazione che allora, a nemmeno venticinque anni, avessi davvero quel po’ di cinismo utile per essere consapevole che l’Amore somiglia tanto ad una bellissima e coinvolgente recita teatrale, dove le nozioni di tempo e spazio vengono distorte, costrette o dilatate a piacimento dell’autore; un susseguirsi di atti unici e di attimi irripetibili, dove la fantasia e l’astrazione hanno i loro ruoli fissi.
Netta poi la cognizione di come, pochi mesi dopo, mi lasciavo prendere in giro e cadevo volontariamente nella trappola romantica che invece no, l’Amore è la più grande, l’eterna, l’unica realtà.

venerdì 28 maggio 2010

A E I O U... Y

Qualche minuto fa ero sotto la doccia e, mentre mi massaggiavo la testa, mi concentravo sul conio di un paio di nick per i nuovi personaggi che (forse) citerò in un prossimo post. Perché i nomi sono importanti, anche quelli fittizi.
Ed allora sono rimastò lì, folgorato sulla via dello shampoo, realizzando di aver acquisito una smodata passione per le Y: ormai non c'è nickname che mi venga in mente che non contenga almeno una Y. Sarà forse per via di quel fascino ambiguo di vocale arripudduta, che vuole mostrarsi per qualcosa di nuovo, alieno, ma tu sai che in fondo non è altro che una I imbellettata e travestita. La LadyGaga dell'alfabeto.
La Y mi piace così tanto che, se potessi tornare indietro e cancellare questi due anni di Edgar, probabilmente sceglierei come firma Yehoshua. Per la Y iniziale, ma anche per l'origine ebraica che conferisce ai nomi un che di mistico, ultraterreno... puramente virtuale; mentre, al contrario, i nomi coniati nel Nordeuropa, come Edgar, hanno spesso una radice guerriera, popolare... tremendamente terrena. L'Essenza, i nomi ebraici, e l'Apparenza gli altri.
Ed io non lo so: Esso, o Appaio...?
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Esso o Appaio, ma sicuramente non Scompaio, per adesso. Sì, lo so che nessuno l'ha neanche pensato, ma fino alla settimana scorsa ero fermo nel proposito che il post del secondo anniversario sarebbe stato l'ultimo di questo blog. Poi, per (s)fortuna è finalmente arrivata l'estate e, nonostante il  biblico diluvio di oggi, ha dissipato molte nubi dal mio orizzonte.
Re(si)sto, almeno un altro po'.
E non so neanche perché lo scrivo: forse come promemoria?

martedì 25 maggio 2010

Due (anni di) Parole in Circolo

Uno dei classici della lunga serialità è certamente il cliffhanger di fine stagione, machiavellico stratagemma narrativo per regalare uno scampolo di brividi prima della lunga pausa estiva e per convincere gli spettatori a restare in trepidante stand-by fino all'inizio della stagione prossima ventura.
Se questo blog fosse un serial serio e non una noiosa docu-fiction, oggi che esso porta a compimento il suo secondo anno di vita virtuale, potrei calare alcuni classicissimi assi mozzafiato, quali: il pensionamento professionale di un grigio personaggio di contorno, che comporta l'introduzione nel cast di un giovane ed attraente sconosciuto dal sorriso ammiccante, proprio lì, sulla porta; un bellissimo e tenerissimo pupetto di diciassette mesi che per la prima volta pronuncia sorridendo la parola zio, e pochi minuti dopo sparisce misteriosamente dal proprio lettino; i toni accesi ed in crescendo di una lite improvvisa ed apparentemente ingiustificata, che mette fine ad una lunga tregua mai firmata con il perfido personaggio della madre; la prolungata attesa per l'inappellabile responso di un camice bianco.
La fregatura, in questi finali di stagione, è che non puoi dare per scontato che poi la nuova stagione verrà mandata in onda, tra attori che di anno in anno pretendono compensi sempre più esosi e produttori che non sono mai abbastanza soddisfatti dei dati d'ascolto.


 Continua...?

lunedì 24 maggio 2010

Sassolini

Ieri sera, in seconda o terza serata su Raitre, ho intravisto Enrico Bertolino che intervistava un'esperta di economia nel suo programma satirico Glob l'osceno del villaggio. Insomma, sulla scia di Fabio Fazio a Che tempo che fa e di Serena Dandini a Parla con me, oggi in Italia sono gli attori comici ed i programmi di satira a sforzarsi di fare informazione, laddove i programmi di informazione propriamente detti sono occupati da entità come Ignazio LaRussa o Sandro Bondi che con le loro urla, gli strepiti ed i travasi di bile, al pari degli evangelici indemoniati, danno spettacolo della loro anima profondamente fascista, impedendo qualsivoglia forma di comunicazione socialmente rilevante.
Non ha allora pienamente ragione il bravo Elio Germano, nel dedicare il premio vinto a Cannes, agli italiani che fanno di tutto per rendere l’Italia un paese migliore nonostante la loro classe dirigente? Ho davvero torto io a credere che l'Italiano medio sia meno razzista, meno sessista, meno xenofobo, meno omofobo, meno sessuofobo dei mentecatti da cui si lascia governare, certo non senza colpe proprie?
Una classe dirigente ben rappresentata dal sindaco di una delle città più grandi che non sa distinguere un lavoratore clandestino da un criminale, un ministro dell'Istruzione che non conosce la differenza tra greco e latino, un ministro della Cultura autonominato poeta perché non è in grado di comprendere l'abisso che corre tra poesia e scempiaggine, un ministro delle Pari Opportunità che confonde il matrimonio con una prestazione orale; un presidente del Consiglio che non fa differenza tra gente perbene e farabutti, circondandosi e riempiendo gli scranni del Parlamento dei secondi al probabile scopo di meglio figurare personalmente, fottendosene di far fare bella figura al Paese.

domenica 23 maggio 2010

Certe cose, farei meglio a non scriverle nemmeno...

L'altro giorno in ascensore sono stato abbracciato.
Mi ha fatto un effetto ben strano, non essendo mai stato educato in famiglia a dimostrare la mia simpatia toccando ed abbracciando le persone che mi stavano attorno. Mentre mi rendo conto che gli abbracci virili sono una normalità negli sport di squadra, come il calcio e la pallacanestro; ed infatti, il reo d'abbraccio, veniva da una vittoriosa serata trascorsa a giocare a basket.
Mi ha fatto un effetto strano, perché, se si escludono i contatti da saluto, nemmeno ricordo l'ultima volta che sono stato abbracciato. Né l'ultima volta che la vicinanza di un uomo ha fatto muovere qualcosa nei miei pantaloni.
Batte forte il cuore, primo piano in ascensore...

giovedì 20 maggio 2010

Sondaggio Avatar

Avevo pensato fin dall'inizio di sottoporre a sondaggio il nuovo avatar, ma ultimamente da queste parti transitano talmente pochi lettori che avevo scelto di mia iniziativa quello che mi pareva più simpatico. Ma alla seconda contestazione amichevole, le mie certezze vacillano e mi rimetto ad un cortese consiglio collettivo.
Chi avesse voglia di esprimere la propria opinione, ha tempo fino a martedì 25 maggio, quando ricorrerà il secondo anniversario del blog.
A seguire le scelte possibili:
P.S. Chiedo scusa per la camicia, la costumista quella serie era in ferie. In compenso, si ringrazia l'Hair Stylist: Maya.

martedì 18 maggio 2010

Brutto brutto affare...

...quando finalmente arriva la primavera e d'un tratto ti accorgi che non riesci a ricordare la combinazione del lucchetto della bicicletta incatenata da sei mesi sotto casa.
Chissà se (e se sì, dove) l'avevo appuntata...

domenica 16 maggio 2010

Isabella Santacroce - Lulù Delacroix

Terminato il pacchetto di ore di navigazione gratuita in rete, ho dovuto giocoforza cambiare abitudini. Ed ho ripreso a leggere. Evviva, perché ormai la pila di libri in attesa di essere letti era talmente alta e pesante che gli scricchiolii del mio comodino mi tenevano sveglio la notte.
Devo innanzitutto complimentarmi con me stesso per le scelte d'acquisto compiute in questi mesi, perché finora ho letteralmente divorato tutti i libri che mi stavano aspettando. E a costo di annoiare, volevo dar conto di questi miei proibiti piaceri consumati in solitudine.
Comincio questa nuova (e chissà se prolifica) rubrica con un libro di cui avevo già anticipato uno stralcio che avevo particolarmente apprezzato: il romanzo s'intitola Lulù Delacroix (edito da Rizzoli), la nona ed attualmente l'ultima fatica della scrittrice Isabella Santacroce, che peraltro vanta anche un pregevole curriculum di collaborazioni ai testi delle migliori canzoni della Nannini.
Non ho letto le precedenti opere letterarie della Santacroce, epperò ho inteso che sono caratterizzate da atmosfere cupe e situazioni al limite della moralità. Ma lei ama scioccare, piuttosto che provocare: un ottimo biglietto da visita, per quel che mi riguarda. Tuttavia, a dir la verità, quel che mi ha colpito, convincendomi all'acquisto in pochi attimi, sono state l'ipnotica immagine sulla copertina [a lato] e le promesse nel risvolto di copertina
Promesse affatto disattese, giacché, in contrapposizione alle precedenti opere tra il pulp ed il noir, Lulù Delacroix si presenta né più né meno come una favola. Ma una favola moderna e fuori dagli schemi più scontati: nessuna fatina buona dai  modi caramellosi, nessun principe a cavallo di un bianco destriero. La stessa protagonista è un'eroina atipica: Lulù non è una bella principessa insidiata dal cattivo di turno, ma una bambina deforme che, nonostante la dolcezza e la simpatia che suscita nel lettore, nel suo mondo di gente perfetta è vittima del pregiudizio e del disprezzo della sua stessa famiglia. Nonostante tante fragilità, Lulù, armata solo della propria sconfinata fantasia, non esita un istante quando le viene chiesto di portare a termine una missione che potrebbe finalmente cambiare le sorti del mondo: raggiungere e sconfiggere la mostruosa Regina Ingiusta, fonte e madre di tutti i pregiudizi, che abita in un mondo magico oltre le nuvole.
Non entro più a fondo nella trama, che si sviluppa attingendo al fiabesco romanticismo di Alice nel paese della meraviglie (che infatti appare in una sorta di cameo) e ai toni più malinconici di Alla ricerca della felicità; ma ci tengo a precisare che il finale è tutt'altro che scontato.
Per dirla tutta, il romanzo parte davvero molto bene e mi appare convincente soprattutto nella prima parte. Perfect City, la città dove abita la famiglia Delacroix, è una perfetta caricatura delle città pulite e rigorose che molti sindaci del Nord Italia propugnano nelle loro odiose campagne elettorali; e la gente che vi abita, colma di pregiudizi e incapace di provare sentimenti, è tutto fuorché una metafora.
Tuttavia, quando Lulù intraprende il proprio viaggio nel mondo magico (ma sarebbe forse meglio dire stregonesco), la scrittura della Santacroce mostra qualche limite, che magari per altri lettori è invece un punto di forza. A me però piace visualizzare i personaggi ed i luoghi del libro che sto leggendo, e ciò non è facile quando, come in questo caso, il linguaggio è ricco di figure ed aggettivi, lo stile oscilla dal barocco all'assurdo ed è forte la propensione ad insistere su dettagli laboriosamente fantastici.
Ma nel complesso il giudizio è più che positivo. Perché le favole ancora mi piacciono tanto.

martedì 11 maggio 2010

Carmen Consoli - PERTURBAZIONE ATLANTICA

(testo e musica di C. Consoli)



I giorni volano confusi e inquieti come mosche a tavola
Domani è festa e tutto il paese già freme per la processione
Signora, sia generosa: i santi martiri gioiranno in cambio di qualcosa
Il meteo informa che quest’anno primavera tarderà
 
È una sciagura per le mie rose questa perturbazione atlantica
Signora, abbia pazienza, le piante non hanno fretta o scadenza
È solo questione di poche settimane, perché temere che non possano sbocciare?
 
In questa attesa interminabile di ore ingrovigliate e incerte
Un’improvvisa ondata di rondini disegna voli strabilianti
Se chiudo gli occhi avverto un caldo attrito
Il sole a maggio non è stato mai così vicino
 
Sia dolce o amara la sorte, mio generale combatterò al tuo fianco
Signora, abbia pazienza, le piante non hanno fretta o scadenza
È solo questione di poche settimane, perché temere che non possano sbocciare?
 
In questa attesa interminabile di ore ingrovigliate e incerte
Un’improvvisa ondata di rondini disegna voli strabilianti
Se chiudo gli occhi avverto il fremito dell’alta quota e un forte debito d’ossigeno
È già spezzato il fiato e ricomincio a respirare senza sforzo e senza affanno
 
Il meteo informa che quest’anno primavera tarderà

Quella strega della Carmen aveva previsto almeno dall'autunno scorso che la primavera quest'anno sarebbe arrivata in forte ritardo. Poveri i miei fiori...
Comunque, la morale è sempre quella: quel che deve sbocciare, prima o poi sboccia.

venerdì 7 maggio 2010

Giudizi universali

Dice che la barba mi dona, facendomi perdere l'aria da putto.
E meno male che ha detto putto...

giovedì 6 maggio 2010

Specchio spocchioso ti spacco

Io ho sempre avuto un rapporto conflittuale con la mia immagine.
Ma parlo proprio di serie difficoltà a riconoscermi allo specchio o in fotografia. Non tanto sul dettaglio, giacché saprei individuare in mezzo a mille ritratti il taglio dei miei occhi, la gobba del mio naso o le due file irregolari dei miei denti. Il problema è piuttosto l’insieme: proprio la mia faccia nel suo intero.
C’è questo strano ragazzino che compare nelle fotografie degli album della mia famiglia: alcune volte è secco secco, altre volte in abbondante sovrappeso; alcune volte ha lunghi e biondissimi boccoli, altre volte ha capelli corti color pantegana. Ma è sempre lui, lo si riconosce anche nel passare del tempo.
E lui sono io, ma di questo ho la certezza solo perché lo vedo sorridere timido accanto ad una bambina sempre imbronciata che è certamente mia sorella. Perché indossa i maglioni fatti da mamma in serie per me, mia sorella ed i nostri cugini. Perché spegne le candeline sulla torta nelle cucine delle case dove ho abitato. Fosse fotografato in  luoghi esotici o tra facce anonime, non potrei mettere la mano sul fuoco che lui sia la stessa persona che sta scrivendo questo post.
Capita solo a me?
Perché a volte questa presa di coscienza mi preoccupa. Non tanto ora che son abbastanza lucido da sapere che, se ho davanti uno specchio, l’immagine riflessa è mia. Ma ci penso in previsione di quando (se), andando avanti con l’età e con qualche morbo che di sicuro mi coglierà rendendo la mia mente meno lucida, mi ritroverò a litigare con un vecchio pazzo senza nome che mi urlerà addosso nello spazio chiuso del mio bagno. Sempre se l’apparizione invasiva di tale sconosciuto non mi spaventerà in modo tale da farmi scoppiare il fragile cuore.
Mi turba questo pensiero, mi ha sempre turbato: tanto che forse è proprio il motivo per cui nel tempo ho smesso di posare per le foto e per cui la mattina le mie occhiate nello specchio sono concesse sempre di sfuggita: il tempo di una ricognizione delle cispe tra le ciglia e via.
Solo che da qualche mese in qua c’è qualcos’altro che richiama alla mia mente ‘ste riflessioni: un bambino biondo e pacioso che di volta in volta somiglia sempre di più al ragazzino delle foto, mio nipote il TopO. Gli strani tiri mancini della genetica.

martedì 4 maggio 2010

Teste di cactus

All’inizio erano sei: le mie sei testine di cactus.
Poco più d’un paio d’anni fa, poco prima che mi trasferissi in città, sono entrate nella mia vita ed hanno trovato il loro posto in un vaso sulla mia scrivania. Le avevo anche battezzate, una per una: Grazia, MariaGrazia, Graziella, Graziana, Graziosa e Grazielcazzo, in rigoroso ordine dalla più alta alla più minuta.
Un paio di mesi dopo, Grazielcazzo se n’è andata: era la testina più piccola, d’un verde chiaro chiaro, poche spine, palesemente diversa dalle altre cinque sorelle maggiori che nel vaso quasi la soffocavano. Devo essere sincero: fin dal primo incontro non avrei scommesso un centesimo che avrebbe visto l’estate.
Poi un anno più tardi, inaspettatamente, da un giorno all’altro, anche Graziosa è trapassata: un venerdì era in piena forma, dello stesso colore verde scuro delle altre, ed il lunedì successivo era diventata violacea; il martedì aveva già perso tutto il suo turgore e, carezzandola, le spine ti restavano conficcate nelle punte delle dita senza fare però alcun male. Con le pinze l’ho levata dal vaso, sottraendo il suo triste addio alla vista delle sorelle.
Galyna, la collega che mi siede di fronte, mi ha rimbrottato, sostenendo che davo loro troppo da bere: “Sono piante grasse,” ha detto, “il loro destino è quello di patire la sete” (aggiungendo in separata sede, perché loro non la sentissero: “Lo so bene io, sai quante piante grasse mi sono morte…”). Fatto sta che ho cominciato ad allungare gli intervalli tra un’abbeverata e la successiva.
A lungo andare le quattro teste di cactus superstiti si sono asciugate, sgonfiate, ma raddrizzate, cresciute, con Graziella che aveva addirittura superato in altezza MariaGrazia: insomma sembrava che avessero trovato il loro equilibrio. Finché non mi sono accorto che avevano cambiato colore, e da un bel verdone scuro le ho scoperte ricoperte di macchie bianche, quasi una patina opaca. Galyna le ha guardate e mi ha rimbrottato: “Dai loro troppo poca acqua,” ha detto, “la terra nel vaso è troppo secca”.
“Gnè, ma vaffanculo”, le ho risposto.
Poi però, la settimana scorsa, anche Graziana ha cominciato a stare poco bene: nulla di diverso a prima vista, ma io capivo che qualcosa non andava e, purtroppo, non sapevo se dare a lei e alle sorelle nuova acqua potesse nuocerle o salvarla. Oggi ho trovato Graziana avvizzita, incapace di stare ritta, tristemente viola… È finita.
E mi sono rimaste solo tre teste di cactus…

lunedì 3 maggio 2010

Due cuori, due capanne e due isole sempre più lontane... Ovvero: Chat! Buona la prima!

L'altro giorno, per noia più che per altro, sono entrato in una chat-room, ma mi sono sentito davvero a disagio. Ho trascorso un buon quarto d'ora con l’incubo che qualcuno mi notasse ed attaccasse bottone, prima di cominciare a rilassarmi e ad osservare, leggere, cercare di indovinare una personalità da poche frasi…
Non ho interagito con nessuno, non prevedo di ripetere l'esperienza, ma mi va più che bene così: ho già dato in abbondanza alle chat in passato, e ricominciare qualcosa da zero non mi sconfinfera, anzi mi ha sempre terribilmente annoiato. Doveva per forza essere buono il primo tentativo, in tutto, dalla risoluzione di un problema matematico alla preparazione di un piatto, perché alla seconda chance arrivavo sempre incontrovertibilmente prevenuto.
Ed anche con le chat è la stessa cosa: mi sono già applicato, ho ottenuto quel gran popò che ho ottenuto (leggasi tra le righe: il mio ex) e penso che possa bastarmi. Per il resto della vita e per un paio di vite a venire.
No no. Se devo imbarcarmi in una relazione, voglio che succeda alla vecchia maniera: un incontro casuale, una conoscenza in comune, un tramortente colpo di fulmine in un ufficio. O la visita del caldaista, in programma per questa settimana.