domenica 29 luglio 2012

Chiuso per ferie

Sto per mettermi a fare la valigia: domattina si parte per il mare. Esclusivamente sole e mare, meteo permettendo.
E stasera sarò al Padova Pride Village: accompagno un amico allo spettacolo di Alice. Non sono patito della signora Carla Bissi, però è una scusa per dare un'occhiata al Village. Il problema è che quest'amico, lui sì patito di Alice, è un gay represso e vagamente sessuofobico. Sarà un po' come portare un diabetico in pasticceria: chi schiatterà per primo, lui per un'imprevista abbuffata o io per una costretta continenza...? Mah.
E tutto questo solamente per dirvi che nei prossimi giorni sarò più latitante del solito, nel caso improbabile che qualcuno si preoccupasse.

venerdì 27 luglio 2012

Jay Brannan - ROB ME BLIND



(testo e musica di Jay Brannan)

Can we clear the air between us, and can we do it soon?
I've been clawing at the mortar, your nails are dirty too
When night falls, I crawl to the window and reach for the pain
I'll fall, but I call you anyway

Someday we'll be eating lobster and drinking fine champagnes
I'll sell seashells by your seashore till you swim through my veins
He who sails is he who discovers, let's hear "anchors aweigh"
There's space to claim under these covers, you steer clear of here anyway

You and me, we spark; no, I take that back
Like a dancer in the dark, my beauty it's black
Just match your lips up to mine
Come on and steal a kiss, rob me blind

You don't need another player gambling for your charms
Dreaming of a victory wrapped up in your coat of arms
I bid more if you're taking score, and I'm all set to pay
But I'll lose cuz you'll choose him anyway

The greatest thing I ever learned is I don't know a thing
The hardest thing I ever earned is a chance in the ring
Simple boys make better boyfriends, that just isn't true
And time will tick 'til you can see there's no simple in loving you

mercoledì 25 luglio 2012

17. Di Marco e di un semifreddo alla vaniglia

Sdraiato sul divano, con Marco steso sopra di lui e la sua testa sul petto, Andrea stava riflettendo che tutto sommato il temporale era passato senza fare danni: anzi, chiamarlo temporale era addirittura eccessivo. Il segreto che così strenuamente aveva celato per due mesi sembrava essere stato più che altro una nube scura e minacciosa, che l’aveva fatto brigare non poco, quando poi invece aveva scaricato a terra soltanto le proverbiali quattro gocce. D’altro canto, però, anche se Marco ora non sembrava aver preso male la notizia di Davide, poteva ancora darsi che in un secondo tempo si accorgesse che la presenza del bambino influiva in qualche modo sulla loro relazione, che un giorno scoprisse che tutta la sua buona volontà non era sufficiente e che a lungo andare la gestione del loro rapporto si rivelasse una prova più ardua di quanto credesse.
Ma affronteremo il problema se e quando si presenterà, pensò Andrea, mettendo un punto alle sue elucubrazioni. Era fatto così: aveva uno sviluppato senso pratico e preferiva risolvere i problemi contingenti, piuttosto che passare il tempo a coltivare le proprie paranoie. E proprio per tale ragione, tentare di nascondere a Marco quella parte di sé, giorno dopo giorno s’era rivelato più stressante di quanto avesse messo in preventivo. Niente più stress adesso. Vivere ogni giorno come viene, come dice papà. “E se ti alzi, amore mio, vado a mangiarmi la torta-gelato…”
Marco si sollevò da sopra Andrea, ma si scoprì come frastornato per il modo in cui era appena stato apostrofato. Era la prima volta, per quel che ricordasse –e una cosa del genere non sarebbe andata a cadere in un dimenticatoio– che Andrea lo chiamava amore mio.
Andrea gli lesse negli occhi quel pensiero. “Non montarti la testa, adesso. Chiamo amore mio anche il cane dei miei quando devo invitarlo a levare il culo dal divano…”
“Certo, ho capito” rispose Marco, tirandosi a sedere, mentre Andrea poggiava a terra i piedi e si chinava per frugare tra i vestiti gettati alla rinfusa. “Ho capito. Quando dici amore mio, in realtà intendi qualcosa come peso sullo stomacorompiballe, mangiapane a ufo… Una cosa così: me lo ricorderò in futuro. Non vorrei mai equivocare.”
“Esatto… E pensa a quanto ti voglio bene, dato che fino ad oggi non t’avevo mai dato del rompiballe…” replicò Andrea infilandosi le mutande e rizzandosi in piedi.
“Prendi la torta? Me ne porti una fetta…? Una fettina… che torta è?”
Amore mio,” rispose Andrea, “non si mangia la torta sul mio divano… Anzi, a proposito: adesso non ho voglia di controllare, ma se domani scopro che mi hai macchiato il divano, ti faccio addebitare il conto della tintoria…”
Marco si grattò la pancia prima di controllare rapidamente sotto un paio di cuscini. “Credo di aver deposto tutto il mio seme nell’apposito contenitore in lattice”, disse seguendo Andrea in cucina.
“Ehi” lo fermò subito con un rapido gesto della mano, portata a barriera. “Nella mia cucina non si entra senza avere addosso almeno un paio di mutande… e già che cerchi gli slip, vedi di raccogliere da terra anche gli appositi contenitori in lattice…”
Marco obbedì agli ordini. Mentre s’infilava gli slip, disse, da una stanza all’altra: “Sai, dato che non hai più niente da nascondermi, avevo già pensato che d’ora in avanti avremmo potuto passare qui a casa tua più tempo che a casa mia, visto che la tua è più grande e tu hai l’aria condizionata…” Si chinò a raccogliere un paio di salviette e due condom da sotto il divano, fermandosi solo un istante a chiedersi se ce ne dovesse essere in giro un terzo. “Ma visto il modo autoritario con cui ti poni con i tuoi ospiti, penso che continueremo a grondare sudore a casa mia…”
Qualche minuto dopo, seduti al tavolo della cucina e armati di forchettina da dessert, Marco e Andrea avevano già fatto sparire metà del semifreddo alla vaniglia.
“Allora, raccontami un po’: com’è successo?” domandò Marco.
Com’è successo cosa?” chiese Andrea, cadendo dalle nuvole.
“Com’è successo che tu abbia messo al mondo un clone, un cuccioletto con la tua identica medesima faccia da…”
“Attento!” lo fermò Andrea puntandogli la forchettina ad altezza degli occhi.
“…La tua identica faccia da schiaffi: non mi sarei permesso mai di dire altro… Com’è successo?”
“È successo. Linda è rimasta incinta. Non è qualcosa che sono andato cercando…”
“Sì ma… se uno non vuole figli, oggi ci sono tutte le precauzioni del caso…”
“La verità è che è stata Linda a volerlo” gli rispose Andrea. “Avevamo una relazione altalenante, ci prendevamo e ci lasciavamo, io avevo altre storie… e lei ha pensato che, se restava incinta, io avrei smesso di vedere altre persone, che avremmo messo su famiglia e avremmo vissuto insieme felici e contenti… Ma non era quello che volevo io: io sapevo che non saremmo durati troppo insieme e glielo dicevo. Lei sapeva anche che, tra un ritorno di fiamma con lei ed il successivo, io provavo a tessere una relazione con altri uomini. E per tutta la gravidanza non abbiamo fatto altro che litigare. Ho litigato anche con i miei, sai: dicevano che avrei dovuto sposare Linda e riconoscere il bambino. Ma non l’avrei fatto mai. Sposarla, dico…”
“Ma in che rapporti siete, tu e Linda?”
“Adesso siamo in buoni rapporti, buonissimi. Mi ha capito. Ha capito che non doveva neanche provarci ad infilarmi in una trappola del genere, perché, nel momento esatto in cui ho realizzato che voleva usare il bambino per quello scopo, è sparito ogni sentimento che potessi provare nei suoi confronti…”
“Prima della trappola però qualcosa c’era…?”
“Era… boh, l’ultima occasione che mi era rimasta per avere una vita da eterosessuale, l’unica ragazza che ancora mi facesse girare la testa. I miei sapevano tutto… quasi tutto… ma erano convinti che alla fine avrei scelto lei. Perché Linda è davvero uno spettacolo, una forza della natura. Ed era pazza di me ed io mi sentivo da dio quando stavo con lei. Ma è finito tutto quando ha cercato di forzarmi la mano…”
Finito tutto: sei proprio sicuro?”
“Davide è l’unica cosa che abbiamo in comune, adesso. Non mi metto in casa qualcuno che decide della mia vita al posto mio. Ho questo difetto qua. E alla fine lei se l’è messa via, te l’ho detto.”
“E con Davide, invece, come va?”
“Credo di cavarmela bene come padre… Ho un po’ paura che possa risentire del fatto che i suoi genitori abbiano vite completamente separate, ma al momento non mi pare che ci siano problemi…”
“Ma il modo in cui è stato concepito? Hai parlato di trappola…”
“Ma non ha nulla a che fare con il rapporto tra me e il bambino” assicurò Andrea. “La gravidanza è stata un periodo complicato, per le decisioni che avevo preso, i rapporti con Linda e con la mia famiglia. Ma Davide non c’entra. L’ho amato dal primo momento in cui l’ho preso in braccio e l’ho sentito mio. Davide è mio figlio. E nella mia modesta opinione, questo è tutto ciò che conta.”

L'episodio 1.
L'episodio 18.

martedì 24 luglio 2012

Pacifico & Malika Ayane - L'UNICA COSA CHE RESTA



È sceso il buio intorno, mi vedi?
È ancora viva la fiamma che trema
Prendi ancora fiato e andiamo
Non ti spaventare: noi possiamo

Faremo fino in fondo ogni strada chiusa
Supereremo gole, fiumi di acqua velenosa
Ogni giorno è un salto e un posto caro da lasciare
Dormi ché tra poco è chiaro e ti dovrò svegliare

Meno male che ci sei ancora
Meno male che ci sei tu
Dietro una porta sbarrata a tutti
Sei riuscito a trovarmi

Meno male che ci sei ancora
Meno male che ci sei tu
Per una via sconosciuta agli altri
Sei riuscito a toccarmi

La notte è ferma, adesso ci aspetta
Nel profondissimo mare asciutto in cui perdersi e nuotare
Guarda che sia leggero il peso: poco puoi portare
Lascia ogni fatica, lascia andare

Meno male che ci sei ancora
Meno male che ci sei tu
Giravo a vuoto senza partire
Sei riuscito a guidarmi

Meno male che batte ancora
Meno male che arrivi tu
Cadendo indietro tra le tue dita
Fino a dimenticarmi

Passeremo freddo e vuoto
Solo allora si vedrà
Che brilliamo ancora nel profondo dove il cielo

Meno male che ridi ancora
Meno male che sei con me
Ogni ora che va veloce
Sei tu la cosa che resta

L’unica cosa che resta

lunedì 23 luglio 2012

16. Di Marco e di un piatto di pennette alla cubana

Andrea aveva scelto di cucinare per Marco un piatto che gli riusciva senza troppa fatica, ma anche il piatto che più aveva ricevuto apprezzamenti nella cerchia dei suoi amici: le pennette alla cubana. La pasta era perfettamente al dente ed il sugo, con i funghi ed i dadini di prosciutto, era piccante quanto bastava.
Seduti al piccolo tavolo in cucina, l’uno di fronte all’altro, in qualsiasi altra occasione sarebbe stato un piacere per Andrea osservare la voracità con cui Marco mangiava il piatto che gli aveva cucinato. E nonostante avesse una fame tale che gli tremavano le ginocchia, in qualsiasi altra occasione Marco non se ne sarebbe rimasto con il capo chino sul piatto, impegnato ad evitare lo sguardo del suo ospite.
“Hai fame…” constatò Andrea.
“Le pennette sono davvero buone… e poi ho saltato il pranzo…” ammise Marco, sollevando finalmente gli occhi.
Andrea era lì, seduto davanti a lui. Aveva mangiato solo un paio di forchettate di pasta e lo squadrava con i suoi occhi dolci. “Com’è che non hai pranzato? Troppo lavoro…”
Marco si bloccò qualche istante poi cacciò il rospo: “Nel caso te ne fossi dimenticato, mi hai invitato perché avevi una qualche comunicazione da farmi…”
“Sì, è vero… ma non volevo farti perdere l’appetito…”
“L’ho ritrovato” rispose Marco accennando al piatto quasi vuoto.
“Allora forse è il caso che ti dica quello che devo dirti…”
“Ecco. Ora, l’appetito l’ho perso di nuovo” replicò Marco. Più che altro la sua fu una battuta: non sentiva più alcun nodo allo stomaco; ogni preoccupazione era sparita nel momento esatto in cui Andrea gli aveva aperto la porta di casa e gli aveva sorriso. Questa era la grande magia di Andrea: che ogni pensiero si volatilizzava, ogni nube si diradava al suo cospetto.
“Ok, allora ti lascio finire la pasta. Sia mai che poi mi tocchi buttare via tutto…”
“Andre’, ma è una cosa tanto brutta quella che mi devi dire…?”
Andrea gli sorrise e gli fece cenno di no con il capo. “Non è affatto brutta. Ma te la devo dire. Per questo stamattina t’ho scritto l’sms: perché stasera tu mi obbligassi a dirtela. Non è giusto continuare a rimandare…”
“Sono pronto. Dimmi” lo incitò Marco.
Andrea fece un gran sospiro, si levò dalla tavola e, prendendo la mano del suo ragazzo, l’invitò a fare lo stesso e a seguirlo in soggiorno. Lo fece sedere sul divano, quindi prese dalla libreria una delle due cornici che avevano attratto l’attenzione di Marco, quella con il nipotino paffutello con il grembiulino dell’asilo, e gliela porse, dicendo: “Lui è Davide.”
Marco prese tra le mani la fotografia. “Il figlio di tua sorella…?”
“Davide è mio” spiegò Andrea.
Marco registrò l’informazione e, dopo averla sommariamente analizzata, con un tono di voce indispettito chiese: “Perché cavolo non me ne hai mai parlato prima…? Dovrebbe venire naturale parlare del proprio figlio, in una qualche conversazione… e non è che noi non abbiamo mai conversato, in questi due mesi. Perdio, non è che ci si può dimenticare di avere un figlio.”
Era esattamente la reazione che Andrea si aspettava, ma il bel discorso che si era preparato prima, in quella situazione e con Marco davanti, quello sì sembrava dimenticato. “Non lo so, Marco. Non sono riuscito a parlartene subito, a dirlo subito. Perché avevo paura. E più passava il tempo, più parlarne sembrava difficile…”
“Ma paura di cosa, Andrea? Non è una disgrazia, non è una malattia. Perché dovevi avere paura di parlarne…?”
“È solo un problema di fiducia” rispose Andrea.
Fiducia, Andrea? Non hai fiducia in me? Cosa pensavi? che avrei messo in discussione questo nostro rapporto quand’avessi saputo che avevi un figlio…?” chiese Marco.
“No Marco” disse, sedendo accanto a lui sul divano. “Non parlo della mia fiducia in te, ma della tua in me… Non ti ho parlato subito di Davide perché non ti conoscevo e ho pensato che dirti subito che avevo un figlio ti avrebbe fatto scappare, perché è quello che è successo con i due ragazzi che ho frequentato prima di te: quando ho detto loro che c’era Davide, nel giro di pochi giorni hanno deciso che io e Davide eravamo incompatibili con il loro stile di vita. A te non l’ho detto, perché tenevo davvero tanto a conoscerti e non volevo che ti dileguassi subito. Poi, quando ti ho conosciuto ed ho capito che a te tengo davvero tanto, molto più che a qualunque ragazzo cui abbia fatto la corte in passato, a quel punto… beh, a quel punto è subentrata la paura che tu potessi pensare che non mi fidassi abbastanza di te da dirti tutto subito. Capisci, Marco? Ho continuato a nasconderti Davide, non perché non mi fidassi di te, ma perché avevo paura che tu non ti saresti più fidato di me…”
“No Andrea, non ho capito” rispose Marco, “sembra un altro dei tuoi guazzabugli di parole…”. Si concentrò sulla fotografia che teneva in mano, sull’espressione spensierata di Davide, e gli parve una fedele riproduzione dell’espressione che Andrea sfoggiava quando stavano bene insieme. Quel bimbo gli infondeva un’indescrivibile tenerezza, gli faceva pensare a come dovesse essere stato il suo Andrea da bambino. E l’immagine di Andrea come un cucciolo d’uomo gli faceva venir meno ogni desiderio di litigare con l’Andrea adulto che aveva accanto.
“Non sto cercando di imbrogliarti con le parole. Voglio dire che…”
“Rispondi solo alle mie domande, adesso” lo interruppe Marco. “Queste foto: non stavano sulla libreria le altre volte che sono venuto qui, vero?”
“Le avevo nascoste in un cassetto. Avevo nascosto tutto e avevo chiuso a chiave la camera da letto di Davide.”
“La sua camera da letto? Perché? vive qui con te?”
“Ce l’ho a weekend alterni. Ed io e la madre ci alterniamo le festività… Ti eri accorto che sparivo un weekend sì ed un weekend no, vero?”
“Ma non ti ho mai fatto domande, perché mi sono sempre fidato di te, idiota…” puntualizzò Marco, prima di chiedere: “La madre di Davide è la ragazza nell’altra foto?”
“Si chiama Linda” rispose Andrea, prendendo e porgendogli la seconda cornice.
“Pensavo che fosse tua sorella… Di tua sorella mi hai parlato, e di tua madre, e dei tuoi amici… ma non mi hai presentato mai nessuno: per paura che non ti reggessero il gioco su Davide, vero?”
Andrea assentì con il capo.
“Questo è quasi un sollievo, perché cominciavo a temere che non mi presentassi ai tuoi amici perché ti vergognavi di me…” disse Marco.
“Avevo solo paura che qualcuno nominasse Davide anche solo incidentalmente… Ma insomma, com’è? Mi perdoni perché ho tenuto il segreto più di quanto fosse opportuno, oppure no?”
“No Andrea” gli rispose Marco. “Se vuoi farti perdonare, devi sforzarti e trovare qualcosa di meglio dei tuoi occhioni dolci per ben dispormi nei tuoi confronti.”
“Ho preso la torta-gelato…”
“La torta-gelato è una grande trovata… ma a quella ci dedichiamo dopo…”
Dopo che cosa?”
Seguirono rumori di zip, di bottoni sbottonati, qualche rantolo ed un sacco di fruscii sui cuscini del divano.

L'episodio 1.
L'episodio 17.

domenica 22 luglio 2012

Patrick Scavo



Dall'episodio 11 della sesta stagione di Desperate Housewives, rivisto in replica stasera su RAI4.

mercoledì 18 luglio 2012

15. Di Marco e di quella volta che incrociò una signora con il golfino grigio

Contrariamente a quanto avvenuto con il messaggio di Carlotta, Marco non moriva dalla voglia di sapere di che cosa Andrea volesse parlargli. O, per meglio dire, non era curioso in senso stretto di scoprire se Andrea voleva realmente affrontare con lui un discorso serio, un qualche problema o un intoppo, poiché temeva che dopo quel discorso il loro rapporto potesse cambiare. E Marco non voleva assolutamente che qualcosa cambiasse nel loro rapporto.
Marco era felice esattamente così come stavano le cose in quel momento.
Era felice che il buongiorno di Andrea fosse il primo sms che riceveva ogni mattina, quando non trascorrevano la notte insieme, ed era felice, quando passavano la notte nello stesso letto, di svegliarsi sempre prima di lui e di poter osservare in silenzio l’espressione serena che aveva dipinta sul volto mentre dormiva. Era felice che Andrea si facesse trovare ogni tanto fuori dal cancello aziendale per portarlo a pranzo o a cena o al cinema o ad uno spettacolo teatrale, senza mai avvisarlo prima, ed era felice quando trascorrevano chiusi in casa e senza vestiti una buona metà delle loro domeniche. Era felice perfino quando Andrea non si faceva vivo per un intero weekend e Marco poteva utilizzare tutto quel tempo libero per prepararsi al loro prossimo incontro. Era felice addirittura quando Andrea non era il protagonista dei suoi pensieri, mentre lavorava o era in palestra o con i suoi amici. 
Ed era davvero tanto tempo che non si sentiva così sinceramente, profondamente, sostanzialmente felice.
Quando aveva letto l’sms di Andrea che recitava semplicemente Devo parlarti, Marco aveva accusato una netta sensazione di paura: non voleva assolutamente smettere di sentirsi felice. Ma forse non sarebbe accaduto, forse si stava preoccupando per nulla.
Oppure, forse, Andrea voleva rivelargli dove trascorreva i weekend che non passavano insieme, perché a volte accadeva che Marco lo chiamasse la sera e lui non rispondesse, come mai mentre parlavano o scherzavano capitasse che, senza un motivo cosciente, Marco provasse la sensazione che Andrea aveva frettolosamente cambiato o tagliato corto un discorso.
Per non cadere vittima di cento di queste e di altre mille paranoie, Marco si costrinse a non pensare all’sms ricevuto e si concentrò solo ed esclusivamente sulle fatture che stava passando al vaglio.
Verso l’ora di pranzo, il display del suo cellulare s’illuminò per avvisarlo di una chiamata in entrata. Era Andrea.
“Ma hai ricevuto l’sms?”
“Sì…” rispose Marco. Avrebbe voluto interpretare la voce di Andrea e scoprire anche solo da quella quale sorte gli fosse riservata, ma non ci riuscì.
“Allora vieni a cena da me, preparo qualcosa… e poi… poi si parla un po’” disse Andrea, restando in un equilibrio precario tra il tono deciso ed asciutto di chi impartisce istruzioni e quello interrogativo di chi cerca una conferma o un appoggio.
Marco si limitò a rispondere: “D’accordo. Quando finisco qui, passo da casa a cambiarmi e ti raggiungo.”
“Vuoi che venga io a prenderti?”
“No, lascia stare. Vengo in bici…”
“Ok” rispose Andrea e restò in attesa, come se aspettasse una qualche domanda.
“A stasera” tagliò corto Marco e chiuse la telefonata per tornare a rifugiarsi in una totale estraniazione. Aveva lo stomaco chiuso e rinunciò al pranzo. Non uscì nemmeno dall’ufficio e continuò a lavorare.
Mentre tornava a casa in bici, finito il lavoro, e poi dentro il minimarket, si concentrò esclusivamente sulla breve lista della spesa che non rinunciò a fare.
A casa, s’infilò sotto il getto di una doccia che durò il tempo che normalmente avrebbe impiegato per farne tre. Poi, prima di rivestirsi, accese il notebook per controllare posta elettronica, Facebook e l’homepage di Repubblica.it, senza però trovare bollette da controllare, né post di amici da commentare, né notizie di cui approfondire la lettura. Anche scegliere l’abito per la serata si rivelò molto meno impegnativo e più veloce di quanto in cuor suo sperasse: dato che non poteva prevedere l’esito della serata né escludere che avrebbe trascorso comunque la notte da Andrea, indossò un paio di calzoni ed una camicia pulita, infilando nella borsa a tracolla una cravatta arrotolata, cosicché se necessario potesse andare direttamente da casa di Andrea al lavoro l’indomani mattina.
Quando si ritrovò nuovamente in sella alla bici, aveva esaurito le possibili distrazioni e, per non crucciarsi troppo sulla rivelazione che l’attendeva, pedalò più forte che mai verso la periferia.
Arrivato sotto casa di Andrea, trovò il cancelletto d’ingresso già aperto ed entrò con la bici nel cortile della palazzina. La parcheggiò proprio a ridosso del portone, in uno degli appositi stalli.
Gli venne in mente che per farsi aprire il portone avrebbe dovuto riattraversare il cortile per suonare il campanello del cancello, quando invece una donna s’affacciò dal portone per uscire. Si ritrovarono faccia a faccia.
La donna, una bella donna sopra la cinquantina coi capelli freschi di taglio ed un golfino sulle spalle, lo squadrò un istante, prima di chiedergli se intendesse entrare e prima di cedergli il passo per tenergli aperto l’uscio. Poi, mentre entrava in ascensore, Marco ebbe addirittura la sensazione che la donna sostasse per controllare il pulsante di quale piano premesse, ma non alzò lo sguardo per verificare, pensando alla proverbiale vicina impicciona.
Arrivato all’ultimo piano, suonò il campanello accanto alla porta di Andrea. Lui gli aprì e parve sorpreso nel ritrovarselo davanti.
“Sono troppo in anticipo?” fu la domanda di Marco.
“No, è che mi aspettavo fosse mia madre. È appena andata via e pensavo che fosse tornata indietro perché s’era scordata qualcosa… Tu non hai suonato giù: come sei entrato dal portone?” gli chiese, prima di farsi da parte perché entrasse in casa.
“Mi ha aperto una signora che stava andando via…” rispose Marco, colto da un sospetto.
“Con un golfino grigio sulle spalle? Era mia madre…” gli confermò Andrea.
Marco avvampò, imbarazzato per il timore di aver fatto una prima impressione meno che ottima alla madre del suo ragazzo. L’aveva ringraziata perché gli aveva tenuto il portone, ma le aveva sorriso? Lei aveva intuito chi fosse lui? Che si fosse accorta che lui l’aveva presa per la solita impicciona, che gliel’avesse letto in faccia?
“Non c’era bisogno che la cacciassi via” bofonchiò Marco. “Se le hai chiesto di prepararci la cena, potevi almeno avere la decenza di trattenerla per le presentazioni…”
“Ma no. Era passata solo un attimo perché le ho chiesto di ritirarmi un paio di vestiti dalla lavanderia” rispose Andrea. “Era di fretta. A sapere che stavi già qui sotto, certo che la trattenevo. Mica mi vergogno. Né di te né di lei.”
“‘Naggia, sempre intempestivo io… Potevo arrivare un attimo prima o un attimo dopo…?”
Andrea decise di chiudergli la bocca con un bacio. “Vado un attimo in bagno. Tu non dare troppe occhiate in giro, al massimo da’ un occhio al sugo che non s’attacchi…”
Cosa vuol dire: non dare troppe occhiate in giro? si chiese Marco per un momento, risolvendo fosse un modo per suggerirgli di non far troppo caso al disordine.
In due mesi di frequentazione, era solo la terza volta che metteva piede in casa di Andrea. E gli garbava parecchio. Sostanzialmente perché era molto più grande del suo appartamento. Si sviluppava addirittura su due piani, con una stanza nel sottotetto cui si accedeva tramite una ripida scala che occupava tutta una parete del soggiorno, e con i due lati esposti dell’appartamento interamente percorsi da una balconata che offriva una bella vista sul quartiere e sulle colline a nord della città. Aveva anche due bagni ed una seconda stanza da letto che –presumeva erroneamente– Andrea probabilmente utilizzava come studio.
Marco sapeva che l’appartamento era di proprietà di Andrea, ma non aveva ancora avuto occasione di approfondire se l’avesse acquistato con i soldi che s’era guadagnato lavorando o se fosse stato aiutato dalla famiglia. Cosa che in realtà non voleva nemmeno veramente sapere, per non nutrire ed accrescere quel principio di invidia che provava quando rifletteva sul dato di fatto che Andrea era nettamente più fortunato di quanto fosse lui.
Mentre attendeva in soggiorno, Marco notò tra i ripiani della libreria un paio di foto incorniciate cui non aveva fatto caso nei precedenti sopralluoghi. Una fotografia ritraeva Andrea in un giardino in posa accanto ad una ragazza ed in mezzo a loro un bambino: la giovane donna ed il cucciolo d'uomo avevano entrambi occhi e capelli degli stessi colori del suo ragazzo, cosicché Marco assunse che si trattasse della sorella e del nipotino; alla sorella Andrea aveva fatto riferimento in un paio di occasioni, ma del nipotino Marco non l’aveva ancora sentito parlare. Nell’altra foto, il bambino era da solo in un grande cortile con un grembiulino azzurro, sicché si poteva dedurre che il nipotino di Andrea avesse compiuto almeno i tre anni.
Marco udì lo sciacquone del bagno e si ricordò che gli era stato raccomandato di dare un occhio al sugo. Corse in cucina, preoccupato di non essere sorpreso a dare troppe occhiate in giro. E mentre rigirava il ragù, si chiese se Andrea intendesse cuocere anche lui a fuoco lento, e se ormai non fosse già cotto a sufficienza.

L'episodio 1.
L'episodio 16.

martedì 17 luglio 2012

14. Di Marco e di quella volta che mangiò sushi

Il mercoledì successivo alla gita al lago, verso metà della mattinata, Marco ricevette un sms da parte di Carlotta che recitava solamente: Devo parlarti. La cosa buffa era che Marco aveva chiamato Carlotta la sera prima e che erano rimasti a conversare di facezie al telefono almeno un’ora.
Cos’è successo, stellina cara? rispose Marco.
La replica di Carlotta si fece attendere un’oretta buona: No, te lo dico quando ci vediamo. Quando?
Marco conosceva Carlotta talmente bene che la immaginò mentre scriveva e cancellava più volte quel che voleva dirgli ed alla fine, non trovando le parole giuste, rinunciava a metterle per iscritto. Pausa pranzo insieme? Avviso anche Dario?
Non dire NIENTE a D!!! Meglio dopo lavoro se non hai impegni con A
Non ho ancora sentito A per stasera. Cena io e te, vuoi?
Al giappo. Porta pure A se si fa vivo.
Il giappo in questione era il ristorante giapponese proprio sotto l’appartamento che Carlotta condivideva con Barbara e con una terza coinquilina, la Sandra. L’appartamento si trovava all’ultimo piano di un’elegante palazzina a ridosso del centro storico; Carlotta vi abitava fin da quando era una matricola universitaria e al tempo divideva le tre stanze da letto, i due bagni e la cucina con altre cinque ragazze, tutte quante iscritte a Giurisprudenza: per i primi anni, le studentesse si alternavano l’una via l’altra ed ogni volta che una lasciava l’appartamento, perché si laureava o perché trovava una sistemazione migliore, era sostituita da una qualche collega più giovane. Carlotta divenne a breve giro la veterana di quella ristretta congrega e fu la prima a potersi permettere di pagare la quota per una camera tutta sua, quando trovò impiego come segretaria in un grosso studio legale, impiego che poi la convinse ad abbandonare definitivamente gli studi. Da diverso tempo, in virtù dell’ottimo rapporto che l’anziana padrona di casa aveva instaurato con la sua inquilina anziana, l’affitto era di fatto bloccato; e dato che la signora aveva delegato a Carlotta ogni decisione in merito agli altri locatari, man mano che le studentesse lasciavano campo libero, Carlotta aveva optato per ridurre a tre il numero degli inquilini, uno per stanza: Barbara occupava stabilmente la stanza di mezzo da ormai quattro anni; Sandra era arrivata da meno di un anno.
Carlotta aveva chiesto più d’una volta a Marco di diventare il terzo coinquilino, ma lui preferiva la libertà di un appartamento tutto suo, che peraltro gli costava pure meno della quota che avrebbe dovuto versare a Carlotta. Ciò nondimeno, un rappresentante del sesso maschile aveva già alloggiato nell’ambito attico, ma ne era stato cacciato come Adamo dall’Eden, quand’era stato sorpreso a cogliere il frutto proibito da due diversi alberi: fuor di metafora, era stato costretto a fare i bagagli quand’era venuto a galla che andava abitualmente a letto con Carlotta quando Barbara era fuori casa, e che pure il viceversa.
Il pianterreno della palazzina da qualche anno ospitava un ristorante giapponese gestito da una famiglia cinese: anche nei periodi di crisi più nera, di fatto, il livello minimo di sussistenza della famigliola di origini asiatiche sarebbe stato garantito dalle inquiline dell’ultimo piano e dai loro ospiti.
Quella sera, quando Marco arrivò, non suonò neppure al citofono di Carlotta ed entrò direttamente nel ristorante. Carlotta stava seduta al solito tavolo d’angolo e, non appena la porta si fu richiusa alle spalle di Marco con un tintinnare di campanellini, si sbracciò per farsi notare da Mei e farsi portare la loro solita selezione di sushi e di sashimi.
“Andrea non viene?” domandò.
“Cena di lavoro: pare che stia per siglare il contratto dell’anno…”
“Pare che tu abbia accalappiato un gran bel partito…”
“Non divagare e dimmi quello che mi devi dire.”
Carlotta restò impietrita da quel tono sbrigativo ed autoritario.
“Tanto l’ho capito che Dario ne sa più di me” riprese Marco, “e ciò non è affatto bello, dato che sono io –ripeto: io–  il tuo amico del cuore…” aggiunse poi con una vocina fanciullesca.
“Dario?” domandò Carlotta, nervosamente. “Cosa t’ha detto?”
“Non m’ha detto niente. Ma a pranzo mi ha chiesto di te, e lui non mi chiede mai di te…”
“E cosa ti ha chiesto?”. C’era un che di supplichevole nel tono della domanda di Carlotta.
“Se t’avessi sentito dopo sabato…”
“E cosa gli hai detto?”
“Che ieri sera siamo stati al telefono un’ora. Dell’invito di stasera non gli ho detto niente perché hai scritto di non dirgli NIENTE… Però ora mi devi dire che cosa c’è sotto, perché qua c’è sotto qualcosa: io me lo sento…”
Carlotta attese che Mei posasse sul tavolo il grande piatto con quello che le aveva chiesto e che si allontanasse, poi, senza guardare Marco in faccia e con un tono appena percettibile di voce e scandendo per bene ogni sillaba, disse: “Io e Dario abbiamo scopato…”
Marco impiegò qualche istante a mettere insieme quelle poche sillabe nella sua testa in modo che formassero un discorso compiuto. Poi, per essere certo di non avere frainteso, chiese: “Insieme?”
“Ma no. Ognuno per conto suo…” replicò Carlotta alzando gli occhi al soffitto.
“OK. Intendevo dire: com’è potuto accadere?”
Carlotta giunse le mani a piramide, poi prese a raccontare: “Quando siamo tornati dal lago, abbiamo lasciato Barbara ad una festa e Sandra non era in casa. Gli ho chiesto di salire per tirare tardi insieme. Ci siamo scolati della tequila, e a quel punto gli ho detto che era meglio se restava a dormire sul divano. Poi invece è crollato sul mio letto, ci siamo detti che tanto non sarebbe successo niente ed invece…”
“Ed invece è successo…?”
Carlotta assentì con il capo. “È cominciato come un gioco. Eravamo completamente fuori di testa. Non facevamo che ridere e stuzzicarci ripentendo tanto non succede niente, ed invece…”
“Ed invece è successo…” ripeté Marco, senza più alcuna ombra d’incredulità nella voce. “E adesso?”
E adesso...? Cosa vuol dire e adesso?”
“No vabbè, intendo dire... la mattina dopo, che avete detto?”
“Che dovevamo dire, Marco? Io avevo un mal di testa tale che, francamente, mi irritava anche solo sentirlo sussurrare…”
“E quindi…? Ne avrete parlato, poi…” la incalzò lui.
“Non ne abbiamo parlato. La mattina dopo è andato via quatto quatto, per non farsi sentire dalle altre, e non l’ho più visto né sentito… Credo che sia troppo imbarazzato per farsi vivo…”
“Imbarazzato? Perché? Ha fatto cilecca?”
“Macché cilecca, altro che cilecca… Erano ere glaciali che non godevo tanto…”
Marco, che stava giusto giusto prendendo il coraggio di portarsi alla bocca il primo uramaki della serata, ristette e replicò: “L’hai detto anche di Paolino…”
“Lascia stare Paolino: non c’è confronto” rispose secca Carlotta.
“Ed allora, di cosa dovrebbe essere imbarazzato?”
“Probabilmente non aveva mai preso in considerazione l’idea che tra noi potesse succedere qualcosa, ed ora non sa come comportarsi…” rifletteva Carlotta.
“Dario?” replicò Marco. “Dario ha fantasticato di portarsi a letto ogni donna appetibile che abbia incontrato, con la sola eccezione della madre –spero–. Credimi, lo conosco da più tempo di te e di queste cose ne abbiamo parlato…”
“Anche di me, avete parlato…?”
“Parlato di te no, ma… ti sei mai accorta di tutte le volte che s’incanta a guardarti le tette…?”
Carlotta si sciolse in un sorriso, a mezza via tra il beato ed il beota. “Oh sì” disse avvampando, “le mie piccole tette gli piacciono proprio tanto…”
Marco depose definitivamente l’uramaki che teneva stretto tra le bacchette di legno. Cercando di cambiare argomento, e di togliersi dalla testa l’immagine di Dario che succhiava i seni di Carlotta fino a morirne, disse: “È terribile… finirete come Ross e Rachel… un tira&molla di stagione in stagione, e noialtri tutti a farvi da comprimari in attesa che decidiate se mollarvi o sposarvi…”
“Non so…” fece Carlotta, che invece aveva cominciato a mangiare il suo sashimi con una discreta voracità. “Può darsi che non accada niente… Voglio dire: ci siamo divertiti non poco ma, forse, s’è trattato di una cosa molto accidentale, che non si ripeterà più e che non lascerà conseguenze…”
“Vuoi dirmi che non avresti problemi se tutto restasse esattamente come prima?”
“Marco, lo sai che sono una donna pratica e con i piedi per terra… e al momento non provo nessuno sfarfallio allo stomaco pensando a Dario, te lo giuro…”
“Ce l’ha davvero così grosso come sembra?”
“Oh sì. E sa anche come e dove usarlo…”
“Ok ok” la fermò Marco. “Mi racconterai i dettagli più tardi. Ora m’è venuto un appetito furibondo…”
La mattina successiva, Marco, che ancora non era riuscito ad incrociare Dario e a complimentarsi con lui per le sue grosse doti, ricevette un sms da parte di Andrea che recitava solamente: Devo parlarti. La cosa buffa, oltre al fatto che il messaggio era identico a quello di Carlotta del giorno avanti, era che Marco, dopo aver salutato l’amica la sera prima, aveva chiamato Andrea e che erano rimasti a conversare al telefono per oltre un’ora.

L'episodio 1.
L'episodio 15.

mercoledì 11 luglio 2012

13. Di Marco e di quella volta che Stefano non era venuto al lago

“Hai detto che lavori in un’agenzia pubblicitaria…?” domandò Barbara, girandosi sul fianco destro, puntellandosi sul gomito e poggiando il capo sulla mano aperta.
“Sì” rispose Andrea, che avrebbe voluto restarsene ancora in silenzio e ad occhi chiusi a prendere la tintarella, accanto a Marco. Non portava gli occhiali da sole e, siccome gli veniva istintivo guardare in volto chiunque gli rivolgesse la parola, si coprì il viso con la mano per riparare lo sguardo dal sole che brillava alto proprio oltre la spalla di Barbara.
“Vi occupate di modelle, attori, calciatori…? Qualcuno di famoso…?” domandò lei.
“No no, non quel tipo di pubblicità. Per ora non ci occupiamo di pubbliche relazioni, anche se qualcuno in agenzia vorrebbe. Ci occupiamo proprio di pubblicità: promozione di prodotti, creazione di slogan e vendita di spazi pubblicitari…”
Marco si tirò su a sedere e lanciò un’occhiata a Barbara, e tanto gli bastò per capire che la ragazza s’era calibrata in modalità gattamorta: il fianco morbido ed il ventre piatto bene in evidenza, i capelli bruni e ricci raccolti per denudare collo e spalle, la boccuccia a cuore e gli occhi nocciola in mostra al di sopra degli occhiali da sole. Una matura lolita smaliziata e consapevole del fascino che esercitava sugli uomini. Quelli eterosessuali.
Carlotta era sdraiata dietro di lei, un cappello a falda larga sulla faccia e le cuffiette dell’i-pod nelle orecchie. Oltre Carlotta, Dario pareva appisolato: quel sabato al lago non s’era fatto accompagnare dalla Ely, né da qualcun’altra delle amiche che aveva in rubrica. Nemmeno Stefano era venuto a godersi un altro po’ di sole: aveva millantato con Carlotta una qualche scusa talmente inverosimile che lei s’era dichiaratamente rifiutata di riportarla al resto del gruppo; poco male, aveva pensato Marco, avrebbe finito con il monopolizzare ogni conversazione come al suo solito e quasi sicuramente sarebbe riuscito a mettere in imbarazzo Andrea con domande stupide o invadenti.
Ma in quel ruolo ora sembrava volersi calare proprio Barbara, la coinquilina di Carlotta. “Qualche pubblicità che posso aver visto?” chiese, sfilando gli occhiali ed appoggiando alle labbra una delle stanghette.
Marco le lanciò un’occhiataccia, dimenticandosi di indossare scurissime lenti da sole.
“Quella dei supermercati E*** è nostra, ci abbiamo tappezzato la città…” disse Andrea. Barbara sgranò gli occhioni in segno di esagerato compiacimento, ed Andrea proseguì: “In questo momento quei supermercati sono il nostro maggiore cliente e l’unico che possa vantare una fama che vada  oltre quelli che sono i confini di un quartiere… In sostanza, quella campagna ci paga almeno la metà degli stipendi…”
Barbara continuava a recitare sbigottimento. “Ma lo slogan della pubblicità, scommetto che l’hai ideato tu…”
Marco si mise a curiosare nel proprio zainetto in cerca del lettore di mp3.
“No, adesso non sono quasi più coinvolto nei processi creativi. Io intrattengo le relazioni con i clienti, ne cerco di nuovi e faccio loro firmare i contratti…”
“Una cosa alla Amanda Woodward…” commentò Barbara con un’esagerata enfasi.
Andrea restò in silenzio. Marco colse immediatamente la sua perplessità e gli venne in soccorso: “Melrose Place, quel telefilm degli anni Novanta che faceva il paio con Beverly Hills 90210. Amanda era il personaggio interpretato da Heather Locklear.” Ciò detto, infilò in un padiglione l’auricolare del lettore di mp3, l’accese e tornò a sdraiarsi. Quindi, nascosto alla vista di Barbara, diede un colpetto alla spalla di Andrea e gli porse l’altro auricolare.
“Ah dai, non conosci Amanda Woodward…” disse Barbara. “Pensavo che tutti quelli della nostra generazione la conoscessero…”
Tutti i gay e tutte le frociarole della nostra generazione, forse, pensò Marco. Ma negli anni Novanta il nostro Andrea stava ancora sulla sponda sbagliata…
“Senti, non è che mi spalmeresti la crema sulla schiena…?” domandò Barbara ad Andrea.
Carlotta, alle sue spalle, trasalì. Si issò a sedere, si levò il cappello dalla faccia calcandoselo sulla testa e chiese all’amica: “Faccio io?”
Barbara porse la bottiglietta della lozione solare ad Andrea e, sorridendo ammiccante, disse: “Andrea ha le mani belle grandi. Farà prima…” quindi si sdraiò sull’asciugamano a pancia sotto, offrendo a chi potesse trarne piacere la visione del suo fondoschiena tondo e sporgente.
Andrea lanciò un’occhiata a Marco, che gli rispose facendo spallucce. Poi, mentre lui carezzava con le belle grandi mani unte di lozione la schiena già bronzea di Barbara, Marcò afferrò il cellulare e digitò un sms: Ma le hai detto che lui è il mio ragazzo???
Barbara non si accorse dell’avviso di ricezione sms proveniente dalla grande borsa da mare di Carlotta. Andrea invece sì e, intuendo chi fosse il mittente, fece il possibile per nascondere il ghigno che gli si era disegnato sulle labbra.
Carlotta rispose: Ho paura di averle detto l’AMICO di Marco, non il ragazzo. E ho paura di aver accennato al fatto che è bisex…
Marco si sollevò sul fianco per tenere d’occhio la situazione. Andrea, che ne era ben consapevole, indugiò appositamente nel portare a compimento la missione affidatagli. Poi però, riconsegnata alla proprietaria il flacone di crema solare, tornò lesto a sdraiarsi al proprio posto, accanto al suo amico.
Marco gli porse nuovamente uno degli auricolari del suo lettore di musica, poi gli prese la mano abbandonata lungo il fianco e la strinse nella propria. Quindi, dato che non era sicuro che Barbara potesse vedere quel gesto d’intimità, disse a voce sufficientemente alta: “Dato che hai già le mani tutte unte, potresti ungere la schiena anche a  me…”
“Le belle grandi mani unte…” puntualizzò Andrea.
Carlotta, da sotto la falda del cappello, squittì.
“Ti scoccia?” domandò Marco, ritenendo che Andrea non fosse stato sufficientemente pronto nel risollevarsi.
“Voltati” gli suggerì Andrea; quindi si riempì le mani con due grosse noci di crema solare ed andò a sedergli a cavalcioni.
Portò a compimento quell’ingrato lavoro sotto lo sguardo crucciato di Barbara, la quale ad un certo punto si rese conto di essere vagamente eccitata alla vista di quei due ragazzi in un atteggiamento più intimo di quanto ci si aspettasse tra due amici. E a quel punto distolse lo sguardo, imbarazzata.
E che fosse il bacio umido del sole, o il soffio delicato della brezza del lago sulla loro pelle, o il contatto dei loro corpi grondanti feromoni, fatto stava che, su quel lembo erboso di riva lacustre, Barbara non era l’unica persona eccitata più di quanto fosse consono esserlo in pubblico.
Andrea si rimise sdraiato, supino ma con la coscia sinistra sollevata a velare l’euforia ormonale da cui era stato colto. Marco, pienamente soddisfatto del risultato conseguito, si sollevò un poco e gli si fece appresso per rubagli un bacio. Andrea lo scansò sorridendo per il puro piacere di un dispetto. Marco, volendo mostrarsi orgoglioso anche lui per gioco, si infilò nei padiglioni entrambi gli auricolari e voltò il capo nella direzione opposta. Andrea contò fino a cinque, poi pancia sotto gli si strinse addosso, andando a poggiargli la testa tra la spalla ed il collo. Marco si scostò di poco, ma Andrea gli fu di nuovo appresso per baciarlo prima sulla scapola, poi sulla nuca.
E mentre Marco provava i brividi, Dario dormiva della grossa.

L'episodio 1.
L'episodio 14.

lunedì 9 luglio 2012

12. Di Marco e di quella volta che si guadagnò una scoppola e non solo

Pistacchio e vaniglia per Andrea, mango e melone per Marco, in quella che aveva fama di essere la migliore gelateria della città. Ed ora passeggiavano, lungo un corso poco trafficato del centro storico, con i loro due bei coni in mano.
“Ti rendi conto che pistacchio e vaniglia è una delle scelte più tristi e banali che uno possa compiere, davanti al bancone di una gelateria che ha il vanto di produrre artigianalmente più di cento differenti gusti di gelato…? Ti sei accorto che la ragazza era in imbarazzo, che si sentiva mortificata nel doverti preparare un cono tanto triste…? Peggio di pistacchio e vaniglia, c’è solo panna e cioccolato… oppure limone e fragola…”
“La fragola mi dà la nausea…” si limitò a rispondere Andrea.
La fragola mi dà la nausea…” ripeté Marco in tono canzonatorio.
Andrea passò di mano il cono e con la mano destra libera e ben aperta lasciò partire una scoppola tale che Marco si ritrovò la punta del naso affondata nel gelato al mango.
S’immobilizzarono nel centro della strada e si guardarono l’un l’altro in faccia, ma nessuno dei due cedette nello scoppiare a ridere per primo.
“Pistacchio e vaniglia…” riprese Marco, concentrandosi sulle parole che sillabava per non ghignare. “Davvero, da un pubblicitario, da un creativo, uno si aspetta chissà quali voli di fantasia davanti a cento diverse possibilità… invece te ne esci con un Pistacchio e vaniglia per cortesia…”
Andrea gli aveva allungato una salvietta perché si pulisse la punta del naso arancione. “Scusami tanto, signorino tutto sarcasmo ed indelicatezza… ma vuoi illustrarmi lo sforzo creativo che invece trovi nell’abbinare il mango al melone…?”
“Ma non sono io il creativo, perdio… io sono quello piatto e con i piedi ben piantati per terra, e non devo…”
“Ecco bravo” lo interruppe Andrea. “Pensa solo a ringraziare il cielo di essere piatto e con i piedi ben piantati, e non ben piantato e con i piedi piatti…”
“Oh oh oh” replicò Marco, “ecco il nostro fascinoso creativo che, punto sul vivo, dà a tutti una lezione con un estemporaneo e raffinatissimo gioco di parole…” e si allontanò d’un passo a destra da Andrea che stava prendendo le misure per un secondo ceffone. “Non sei bello quando alzi le mani” aggiunse. “E comunque sia, nell’accoppiata mango e melone c’è assolutamente da apprezzare il fantastico cromatismo…”
“Sai che potrei anche abituarmici…?”
“Abituarti a cosa?” domandò Marco, colto alla sprovvista da quell’uscita.
“Abituarmi ad essere preso per il culo da un signorino tutto sarcasmo ed indelicatezza…” rispose Andrea.
“Intendi in senso lato, vero? Non in senso strettamente carnale…”
Stavolta Andrea non si limitò a misurare lo schiaffo, ma Marco fu prontissimo nello scansarlo.
“Intendo dire che mi piace stare con te…” riprese Andrea, cercando di riassumere un’espressione seria. “Mi piacciono le passeggiate con te, le cene con te, le chiacchierate con te, anche quando decidi di sparare solo cazzate… e naturalmente, mi piace anche il sesso con te…”
“Su quest’ultima cosa non avevo dubbi da quella volta che te ne uscisti con oddio mi stai facendo morire e subito dopo…” e mimò con mani e faccia un’esplosione a getto di fontana.
“Non ti piacciono i discorsi seri, vero?” sbottò Andrea con tutta l’indulgenza di cui era capace in quel momento.
“Stavi facendo un discorso serio…?”
“Stavo provando a farti capire quanto mi piace stare con te…”
“E vorresti passare con me il resto della tua vita?” domandò Marco, facendogli cenno di fermarsi e di guardarlo in faccia.
Andrea in quel momento avrebbe saputo esattamente come rispondergli. Sapeva quello che voleva in quell’esatto momento, ma si trattenne perché la coscienza gli stava suggerendo che c’era qualcosa d’importante che Marco avrebbe dovuto sapere e che lui non era ancora pronto a rivelargli. Fu quel tarlo che impedì ad Andrea di rispondere Sì lo voglio e di aggiungere: il resto della vita è troppo poco rispetto al tempo che vorrei trascorrere con te. Invece disse: “Non ti pare che il resto della vita sia un’espressione un tantinello impegnativa…?”
Marco si sentì avvampare. “Credevo volessi fare un discorso serio…”
“Infatti lo era, un discorso serio” confermò Andrea. “Solo che, perdio, un giorno potresti scoprire qualcosa di me, o io scoprire qualcosa di te, che potrebbe cambiare le carte in tavola e farci prendere strade diverse…”
“Scusami Andrea… ma non capisco proprio cosa stai cercando di dire…”
Andrea riprese a camminare e a mangiare velocemente la cialda del suo cono. “Quello che volevo dire, per adesso, te l’ho detto… Che mi piace stare con te. Punto. Credevo che ti facesse piacere sentirmelo dire…”
“Infatti è vero: mi fa piacere che tu me l’abbia detto” replicò Marco, riprendendo il proprio posto al suo fianco. “E mi fa piacere perché -penso che ti sia più che evidente che- anche a me piace stare con te…”
“Non è stupenda questa corrispondenza di piaciosi sensi…?” disse Andrea, con un tono che apparve più sarcastico di quanto avrebbe voluto che fosse.
E quella punta di sarcasmo trafisse il cuore di Marco come avrebbe fatto uno spillo, tanto che sentì le lacrime inumidirgli gli occhi, ma le ricacciò subito indietro.
Due passi e furono in fondo al corso, che sboccava nella piazza del mercato. Anche quel pomeriggio c’era parecchia gente: a quell’ora c’erano soprattutto giovani e ragazze, seduti al tavolo di uno dei tanti bar alla moda con i calici degli spritz sui tavolini, e qualche anziano, fuori da una delle ultime tradizionali osterie rimaste, con il bicchiere di bianco in mano.
Andrea si fermò e piantò gli occhi in faccia a Marco. Indicandogli l’angolo sinistro della bocca, gli disse: “Sei tutto sporco di gelato”. Ma non era affatto vero e, prima che Marco avesse il tempo di portarsi la salvietta alle labbra, Andrea si strinse a lui e lo baciò. 

L'episodio 1.
L'episodio 13.

giovedì 5 luglio 2012

11. Di Marco e di quella volta che si svegliò citando Harry Burns

Mmmmh… eccoci qua. Buongiorno eh…
Ma che ora sarà? C’è il sole che entra, saranno le 8…? No, è impossibile. Non ho toccato il cuscino prima delle 3, perciò minimo minimo devono essere le 10, forse anche le 11… però non ho ancora il languorino dell’ora di pranzo, quindi non può essere più tardi delle 10, al massimo le 10.30… a meno che ieri sera non abbia mangiato come un porco, ma non me lo ricordo. Potrei anche guardare l’orologio, ma se fossero passate le 11, dovrei proprio alzarmi e non mi va. Tanto tra un po’ sarò costretto ad alzarmi lo stesso, per andare in bagno: senti laggiù com’è gonfio. Per forza: con tutta la birra che ho bevuto ieri sera, è strano che la vescica non mi sia esplosa stanotte. Ho costretto Carlotta a fermarsi due volte lungo la strada di ritorno dal lago… o almeno, due sono le volte che mi ricordo. Come cavolo ho fatto a fare le scale, ad infilare le chiavi e a mettermi a letto? Non ricordo d’averlo fatto. Però l’ho fatto perché sono a casa mia… No, aspetta… sì dai, è il mio letto, queste sono le mie lenzuola rosse…
Devo cambiarle, le lenzuola, prima che Andrea torni a dormire da me. Sempre che torni… Ma sì che torna, siamo stati bene insieme domenica scorsa… ed anche mercoledì notte…
Laggiù ho proprio un’erezione da guinness, è un peccato sprecarla… ma non ho voglia di infilarmi la mano nelle mutande. No, ho sonno, ho troppo sonno. Ho anche mal di testa: dev’essere per la sbornia di ieri. Ora mi giro e ricomincio a dormire, sì… Ecco così, a pancia sotto, ben bene sotto le lenzuola... E se lo strofino un po’ contro il materasso, magari vengo senza neanche bisogno di usare le mani. Tanto devo cambiare le lenzuola.
Che peccato che non ci sia Andrea: quello di sette giorni fa è stato il risveglio più bello da… da quando sto in quest’appartamento… Tommaso non si ferma mai a dormire da me, e non sa che razza di erezioni mattutine si perde: senti laggiù…
Chissà cos’ha da fare Andrea questo weekend, da tenerlo impegnato tutto un weekend intero. Magari ha davvero organizzato un weekend fuori con un amico. Maledizione, perché Stefano mi ha messo 'sta pulce nell’orecchio ieri? Perché quell’invidioso non se n’è stato zitto e non s’è fatto gli affaracci suoi? A me non era neppure venuto in mente che Andrea potrebbe vedersi con qualcun altro. Cioè, sì vabbè… Ci siamo incontrati una settimana fa ed è plausibilissimo e giustificatissimo che frequenti qualcun altro. E non può mica piantarlo dal giorno alla notte solo perché ha incontrato me… Mi ha detto di non avere una relazione in corso, ma magari intendeva dire che non ha una relazione seria e che si vede con qualcuno ma senza impegno…
Mettiamo che io avessi avuto una relazione con qualcuno: lo mollerei per Andrea? Primo: dipende da chi è questo qualcuno. Fosse Tommaso… no aspetta, indipendentemente da chi fosse, se fossi stato con qualcuno, non mi sarei portato Andrea a casa… O forse sì? No perché devo dirlo: Andrea è proprio bello e ci sto davvero bene insieme, quindi probabile che avrei mollato chiunque pur di mettermi con Andrea. Tommaso, di certo… Ma poi, sentimi: mettermi con Andrea… Bisognerebbe sentire lui cosa ne dice…
Andrea potrebbe essere quello giusto con cui avere una relazione, è perfetto… Ma no, dai, ma che dico? Lo conosco da una settimana, non posso essere già al punto di chiedermi se è quello giusto: è troppo presto… Certo eh, quando ti accorgi che vuoi passare il resto della tua vita con qualcuno, vuoi che il resto della vita cominci il più presto possibile, però, insomma… ancora è presto. Non so nulla di lui: come faccio a sapere che voglio passare con lui il resto della vita…?
Ho visto troppe volte Harry ti presento Sally. Che poi, Harry e Sally hanno impiegato dieci anni a capire cosa volevano: mi pare un po’ troppo. Ci si frequenta e si vede, e dopo un po’ si capisce. Com’è successo con Giovanni, anche se poi… Anche se poi niente: con Giovanni è finita perché lui ha preferito mettersi con quella merda che era proprio la merda giusta per lui…
Se stessi ancora con Giovanni, lascerei Giovanni per Andrea? Ecco, se stessi ancora con Giovanni, probabilmente Andrea sarebbe stato solo uno dei tanti da una notte e stop… e sarebbe stato uno sbaglio, perché tra Andrea e Giovanni, Andrea è meglio, dieci volte meglio… credo. Oddio, come faccio a dirlo? Non lo conosco quasi per niente…
Beh… so come scopa e cosa gli piace a letto, ed è già un inizio. È fondamentale sapere queste cose. Anche se, secondo me, abbiamo ancora parecchie cose da sperimentare e che non disdegnerebbe affatto… E poi so… che cosa? Che cosa so di Andrea? So che lavoro fa, dove lavora… che ha avuto anche relazioni etero… che gli piace la cucina cinese… che il caffè gli piace zuccherato e che non fuma… che al momento non è fidanzato, che è geloso di Tommaso… e la cosa più importante di tutte: che gli sono piaciuto fin dal primo sguardo… Dici che è niente?
Sì, ma se gli piaccio, perché non è qui adesso? Perché non sta pensando a me in questo momento…?
E fu proprio in quell’istante che sentì l’avviso di ricezione sms del suo cellulare.
Restò immobile, a mente completamente vuota per dieci secondi. Non può essere… pensò.
Si tirò a sedere e si guardò attorno: i suoi pantaloni erano per terra, accanto al letto. Si sporse per raccoglierli e frugò nella tasca per recuperare il telefono.
Ti stavo pensando, diceva l’sms. Non posso chiamarti adesso. Spero che al lago tu ti sia divertito.
Marco tornò a sdraiarsi, con il cellulare stretto in mano. Sì, è con lui che voglio passare il resto della vita… ed il resto della vita deve cominciare oggi, al più tardi domani.

L'episodio 1.
L'episodio 12.

lunedì 2 luglio 2012

10. Di Marco e di quella volta che Andrea passò a prenderlo dopo il lavoro

Marco spense il pc ed afferrò lo zainetto senza metterlo in spalla. Si era trattenuto in ufficio dieci minuti oltre l’orario di lavoro, ed ora salutava l’unica collega ancora rimasta, che sembrava intenzionata a trattenersi anche più di lui.
In corridoio incontrò Dario. “Ehi ciao. Ma dove sei stato tutto il giorno? Nemmeno un caffè abbiamo preso…”
“Sono nero, guarda. Non ne posso più” rispose Dario, procedendo lesto verso l’uscita. “Oggi il caporeparto s’è inventato di cronometrarci le pause-caffè e mi sono giocato tutto il tempo a disposizione con la prima pausa.”
“Non dire certe cose a voce troppo alta. Vedi mai che certe brillanti iniziative venissero copiate…”
“Ho troppo bisogno di caffeina ora. Se la cosa va avanti per altri tre giorni, giuro che comincio il boicottaggio.”
“Ma che vuoi boicottare? Già è tanto se ancora nessuno parla di tagli, qua dentro.”
“Tagli? E che vogliono tagliare?” replicò Dario. “Già stiamo facendo in cinque il lavoro che l’anno scorso facevamo in otto. Dopo che il Bonetti ha dato le dimissioni e che i due vecchiacci sono andati in pensione, mica hanno pensato di rimpiazzarli assumendo qualcuno di nuovo…”
“E non hanno proprio l’intenzione di assumere qualcuno, fidati” replicò Marco.
“Mal cagati negrieri di merda…” sibilò Dario.
“Dai, parliamo d’altro… Sabato al lago porti Eleonora?” domandò Marco.
Eleonora? Cazzo, quanto sei rincoglionito. Si chiama Elisabetta, non Eleonora. E-li-sa-bet-ta.”
Elisabetta, hai ragione… Allora che fai, porti lei?” chiese. Stavano attraversando il parcheggio dei dipendenti.
“Sì, gliel’ho chiesto e ci viene volentieri.”
“Due weekend consecutivi… Sta diventando una cosa seria?”
“Affatto. È solo che a Elisabetta piacciono da matti le gite al lago e non tengo voglia di cercare qualcun’altra… Tu invece, porti Andrea?”
“Non gliel’ho ancora chiesto… Magari è un tantino presto…”
“Chiediglielo” disse Dario, indicando con il mento oltre l’inferriata.
Andrea era là, fuori dal cancello. Si sbracciò per attirare la loro attenzione.
“Un solo weekend e già passa a prenderti al lavoro” disse Dario. “La tua è già diventata una cosa seria…”
Marco salutò sbrigativamente Dario e corse al cancello.
“Ma che fai qui?” chiese, sorridendo imbarazzato.
“Ho pensato di passarti a prendere. Ma ti imbarazza che mi vedano i tuoi colleghi?” domandò Andrea.
“No, per niente. È la sorpresa in sé che m’imbarazza… Non me l’aspettavo” disse gongolando un poco.
“Avevo voglia di passare la serata con te e volevo mandarti un sms, ma ho pensato che, se per qualche motivo fossi stato già impegnato, venendo di persona fin qua almeno avrei potuto vederti questi cinque minuti…”
“Sei un ruffiano. Te l’hanno mai detto che sei uno stramaledetto ruffiano?” replicò Marco.
“Beh allora? Sei già impegnato per stasera?”
“Nessun altro impegno.”
“Allora vieni…” fece Andrea, invitandolo con un cenno del capo ad uscire.
In quel mentre Dario transitò dal cancello con la propria macchina. Diede un colpetto di clacson e salutò dal finestrino. “È Dario. Stava con noi al Circolo sabato.”
Andrea salutò con la mano l’auto che s’allontanava e poi tornò a volgersi interrogativo verso Marco, che non oltrepassava il cancello. “Sono in bici…” disse lui.
“Lasciala qui. Domattina ti riaccompagno io.”
“Passi a prendermi domattina…?” chiese Marco.
“Certo. Oppure passo la notte da te così domattina non devo uscire prima di casa per venirti a prendere…”
“Ah, ho capito” replicò Marco. “Va bene, vediamo come va la serata e poi, forse, ti lascio dormire da me…”
“Sul divano, immagino…”
“T’ho detto: vediamo come va la serata…” rispose, aggrappandosi allo sportello dell’auto di Andrea.
“Mangiamo qualcosa in giro?” gli chiese Andrea, mentre sedeva e riavviava il motore.
“Mi inviti a passare la serata insieme: mica vorrai che ti cucini io qualcosa da me…?”
“Magari nel congelatore tenevi già la lasagna di mamma, bell’e pronta da scaldare in forno.”
“Te lo scordi che mia madre mi prepari una lasagna…” replicò Marco.
“Dai, che preferisci? Cinese, giapponese, kebab, hamburger, cotoletta, pizza, pesce? Cos’altro?”
“Ravioli al vapore e gamberi… ho proprio voglia di cinese…” rispose.
“Meno male” disse Andrea, invertendo il senso di marcia. “Ne ho trovato uno che mangia e che non mi fa neanche spendere tanto…”
“Sono un ragazzo a basso mantenimento. Ma guarda che sono anche economicamente indipendente, perciò possiamo dividerci il conto a metà…” rispose Marco.
“No. Devo almeno offrirti la cena, se non voglio dormire sul tuo divano…”
“Non cercare di fare troppo il simpatico, o non ti faccio nemmeno arrivare al mio pianerottolo” replicò.
Andrea portò Marco in un ristorante cinese che conoscevano entrambi, non troppo lontano. La cena fu uno spasso: pareva proprio che anche fuori dal letto avessero un buon affiatamento; sapevano conversare e divertirsi.
Poi, ad un certo punto della serata, Marco si rammentò che Carlotta aveva invitato tutta la compagnia ad una gita sul lago quel sabato, l’appuntamento cui Dario avrebbe portato la sua Eleonora e/o Elisabetta. E chiese: “Per sabato, hai già impegni?”.
Andrea, preso in contropiede, si limitò a rispondere: “Perché?”
“I miei amici vanno al lago. Sono gli stessi del Circolo più qualche amica pazza di Carlotta. Potresti venire anche tu. Se non hai altri impegni…”
“Questo weekend non posso” rispose Andrea. “È per questo che ho pensato di invitarti stasera” e poi trattenne il fiato, aspettandosi che Marco gli chiedesse cosa dovesse fare di tanto importante.
Marco seppe nascondere una fugace delusione. “OK, non c’è problema, anzi… c’ho guadagnato una cena al cinese che Carlotta e gli altri detestano cordialmente…”
Andrea restò zitto.
“Ma non è che ti imbarazza passare la giornata con i miei amici…?” domandò Marco.
“Figurati…”
“Magari è presto, ma guarda: ti assicuro che loro ti stimano tantissimo per come mi hai baciato sotto il naso di Tommy…”
“Sotto il naso di Tommy? E perché?” lo interruppe Andrea. “Non mi avevi detto che quel Tommy era solo un amico…?”
“Certo certo.” Momento di silenzio. “Comunque Tommy non viene sabato.”
“Meglio” si limitò a commentare Andrea. “Prendiamo il gelato fritto?
“Niente gelato fritto. O nel letto ci limiteremo a rotolare…”
“Chiedo il conto.”

L'episodio 1.
L'episodio 11.