mercoledì 25 luglio 2012

17. Di Marco e di un semifreddo alla vaniglia

Sdraiato sul divano, con Marco steso sopra di lui e la sua testa sul petto, Andrea stava riflettendo che tutto sommato il temporale era passato senza fare danni: anzi, chiamarlo temporale era addirittura eccessivo. Il segreto che così strenuamente aveva celato per due mesi sembrava essere stato più che altro una nube scura e minacciosa, che l’aveva fatto brigare non poco, quando poi invece aveva scaricato a terra soltanto le proverbiali quattro gocce. D’altro canto, però, anche se Marco ora non sembrava aver preso male la notizia di Davide, poteva ancora darsi che in un secondo tempo si accorgesse che la presenza del bambino influiva in qualche modo sulla loro relazione, che un giorno scoprisse che tutta la sua buona volontà non era sufficiente e che a lungo andare la gestione del loro rapporto si rivelasse una prova più ardua di quanto credesse.
Ma affronteremo il problema se e quando si presenterà, pensò Andrea, mettendo un punto alle sue elucubrazioni. Era fatto così: aveva uno sviluppato senso pratico e preferiva risolvere i problemi contingenti, piuttosto che passare il tempo a coltivare le proprie paranoie. E proprio per tale ragione, tentare di nascondere a Marco quella parte di sé, giorno dopo giorno s’era rivelato più stressante di quanto avesse messo in preventivo. Niente più stress adesso. Vivere ogni giorno come viene, come dice papà. “E se ti alzi, amore mio, vado a mangiarmi la torta-gelato…”
Marco si sollevò da sopra Andrea, ma si scoprì come frastornato per il modo in cui era appena stato apostrofato. Era la prima volta, per quel che ricordasse –e una cosa del genere non sarebbe andata a cadere in un dimenticatoio– che Andrea lo chiamava amore mio.
Andrea gli lesse negli occhi quel pensiero. “Non montarti la testa, adesso. Chiamo amore mio anche il cane dei miei quando devo invitarlo a levare il culo dal divano…”
“Certo, ho capito” rispose Marco, tirandosi a sedere, mentre Andrea poggiava a terra i piedi e si chinava per frugare tra i vestiti gettati alla rinfusa. “Ho capito. Quando dici amore mio, in realtà intendi qualcosa come peso sullo stomacorompiballe, mangiapane a ufo… Una cosa così: me lo ricorderò in futuro. Non vorrei mai equivocare.”
“Esatto… E pensa a quanto ti voglio bene, dato che fino ad oggi non t’avevo mai dato del rompiballe…” replicò Andrea infilandosi le mutande e rizzandosi in piedi.
“Prendi la torta? Me ne porti una fetta…? Una fettina… che torta è?”
Amore mio,” rispose Andrea, “non si mangia la torta sul mio divano… Anzi, a proposito: adesso non ho voglia di controllare, ma se domani scopro che mi hai macchiato il divano, ti faccio addebitare il conto della tintoria…”
Marco si grattò la pancia prima di controllare rapidamente sotto un paio di cuscini. “Credo di aver deposto tutto il mio seme nell’apposito contenitore in lattice”, disse seguendo Andrea in cucina.
“Ehi” lo fermò subito con un rapido gesto della mano, portata a barriera. “Nella mia cucina non si entra senza avere addosso almeno un paio di mutande… e già che cerchi gli slip, vedi di raccogliere da terra anche gli appositi contenitori in lattice…”
Marco obbedì agli ordini. Mentre s’infilava gli slip, disse, da una stanza all’altra: “Sai, dato che non hai più niente da nascondermi, avevo già pensato che d’ora in avanti avremmo potuto passare qui a casa tua più tempo che a casa mia, visto che la tua è più grande e tu hai l’aria condizionata…” Si chinò a raccogliere un paio di salviette e due condom da sotto il divano, fermandosi solo un istante a chiedersi se ce ne dovesse essere in giro un terzo. “Ma visto il modo autoritario con cui ti poni con i tuoi ospiti, penso che continueremo a grondare sudore a casa mia…”
Qualche minuto dopo, seduti al tavolo della cucina e armati di forchettina da dessert, Marco e Andrea avevano già fatto sparire metà del semifreddo alla vaniglia.
“Allora, raccontami un po’: com’è successo?” domandò Marco.
Com’è successo cosa?” chiese Andrea, cadendo dalle nuvole.
“Com’è successo che tu abbia messo al mondo un clone, un cuccioletto con la tua identica medesima faccia da…”
“Attento!” lo fermò Andrea puntandogli la forchettina ad altezza degli occhi.
“…La tua identica faccia da schiaffi: non mi sarei permesso mai di dire altro… Com’è successo?”
“È successo. Linda è rimasta incinta. Non è qualcosa che sono andato cercando…”
“Sì ma… se uno non vuole figli, oggi ci sono tutte le precauzioni del caso…”
“La verità è che è stata Linda a volerlo” gli rispose Andrea. “Avevamo una relazione altalenante, ci prendevamo e ci lasciavamo, io avevo altre storie… e lei ha pensato che, se restava incinta, io avrei smesso di vedere altre persone, che avremmo messo su famiglia e avremmo vissuto insieme felici e contenti… Ma non era quello che volevo io: io sapevo che non saremmo durati troppo insieme e glielo dicevo. Lei sapeva anche che, tra un ritorno di fiamma con lei ed il successivo, io provavo a tessere una relazione con altri uomini. E per tutta la gravidanza non abbiamo fatto altro che litigare. Ho litigato anche con i miei, sai: dicevano che avrei dovuto sposare Linda e riconoscere il bambino. Ma non l’avrei fatto mai. Sposarla, dico…”
“Ma in che rapporti siete, tu e Linda?”
“Adesso siamo in buoni rapporti, buonissimi. Mi ha capito. Ha capito che non doveva neanche provarci ad infilarmi in una trappola del genere, perché, nel momento esatto in cui ho realizzato che voleva usare il bambino per quello scopo, è sparito ogni sentimento che potessi provare nei suoi confronti…”
“Prima della trappola però qualcosa c’era…?”
“Era… boh, l’ultima occasione che mi era rimasta per avere una vita da eterosessuale, l’unica ragazza che ancora mi facesse girare la testa. I miei sapevano tutto… quasi tutto… ma erano convinti che alla fine avrei scelto lei. Perché Linda è davvero uno spettacolo, una forza della natura. Ed era pazza di me ed io mi sentivo da dio quando stavo con lei. Ma è finito tutto quando ha cercato di forzarmi la mano…”
Finito tutto: sei proprio sicuro?”
“Davide è l’unica cosa che abbiamo in comune, adesso. Non mi metto in casa qualcuno che decide della mia vita al posto mio. Ho questo difetto qua. E alla fine lei se l’è messa via, te l’ho detto.”
“E con Davide, invece, come va?”
“Credo di cavarmela bene come padre… Ho un po’ paura che possa risentire del fatto che i suoi genitori abbiano vite completamente separate, ma al momento non mi pare che ci siano problemi…”
“Ma il modo in cui è stato concepito? Hai parlato di trappola…”
“Ma non ha nulla a che fare con il rapporto tra me e il bambino” assicurò Andrea. “La gravidanza è stata un periodo complicato, per le decisioni che avevo preso, i rapporti con Linda e con la mia famiglia. Ma Davide non c’entra. L’ho amato dal primo momento in cui l’ho preso in braccio e l’ho sentito mio. Davide è mio figlio. E nella mia modesta opinione, questo è tutto ciò che conta.”

L'episodio 1.
L'episodio 18.

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