domenica 30 novembre 2008

venerdì 28 novembre 2008

Novembre - Parte seconda

“Io non dimentico. Accantono.” Era una delle sue frasi preferite, un motto che all’uopo tirava in ballo in riferimento ai piccoli torti della vita quotidiana che rischiano però di lasciare il segno sui rapporti futuri.
Mentre rievoco gli episodi del passato, mi accorgo di avere accantonato anch’io, per tanto tempo, certi particolari. Sapevo perfettamente di non averli dimenticati: li avevo infilati in un armadio, rinchiusi in qualche cassetto della mente; li avevo resi disagevolmente accessibili, per paura che potessero farmi ancora male. Ed invece no. Ricordare e scrivere non fa male. Le dita corrono sempre più agili, sempre più sciolte di tasto in tasto. E scopro, senza negarne la sorpresa, che riversare questi miei segreti in Rete, dà un senso di sollievo. Letteralmente, un peso che mi tolgo di dosso.
Non avevo mai raccontato i fatti di quell’anno orribile a qualcuno: all’inizio, infatti, non escludevo l’ipotesi che il rapporto con Ian potesse riprendere e temevo che, in quel caso, confidarmi con qualcuno, che poi si rivelasse incapace di serbare i miei segreti, potesse rivelarsi un pericolo; poi, a tale prudenza, era succeduto il pudore, la vergogna di me, perché mi ero accorto di tante ingenuità e di tanti errori che io avevo commesso, permettendo che accadesse quanto accaduto; infine, tutto era passato, finito, e rivangare poteva far male.
Ed invece no, tutt’altro. Così, sollevato, torno con la memoria a quel novembre.
Il primo ricordo che riaffiora è quello di un sabato mattina, il primo sabato di quel novembre. Mi alzo che lui è già in piedi da un po’: Ian ha sempre dormito poco, dormire per lui era solo una perdita di tempo; e quella notte aveva dormito ancor meno, dato che l’aveva trascorsa, a quanto mi era stato comunicato, ad una cena ed a un dopocena con un gruppo di affiatate colleghe del lavoro. Raggiungendolo in soggiorno, non posso non notare un mazzo di fiori, in un vaso accanto alla tivù. “E questo…?” faccio io, incuriosito ma affatto sospettoso. “Le ragazze hanno regalato a Gaya tre mazzi di fiori,e a fine serata, con le braccia piene, lei mi ha chiesto di portarne a casa uno, perché a casa sua non ha tre vasi…” “Dai. Non mi avevi detto che era una festa di compleanno. Avevo inteso che volevate solo spettegolare.” “Eh sì… nemmeno io lo sapevo. Mi hanno invitato senza dirmi che si trattava d’un compleanno. Infatti, mi son trovato a mani vuote…” “E ti sarai arrabbiato…” “Affatto. Perché…?” Perché lo conoscevo quel tanto per sapere che, partecipando ad un compleanno senza un presente, si sarebbe sentito molto a disagio. Perlomeno, se le cose fossero andate davvero così. Ma non formulai a voce alta quel pensiero, e lo accantonai.
Come avevo imparato ad accantonare le lunghe telefonate con il Grosso, il suo nuovo amico, quello che gli era stato presentato dalla Storta, quella che mi stimava moltissimo ma Ian non voleva presentarmi.
Una delle cose che invece ho accantonato e non riesco proprio a ricordare è stato il momento in cui fui costretto a trasferirmi dal letto matrimoniale alla stanza degli ospiti. Non ricordo proprio: quel weekend ancora no. Quello successivo direi proprio di sì.
Otto giorni dopo, la domenica, ricordo che eravamo in Piazza Bra. Faceva freddo, avevamo fatto un giro per negozi. Si parlava: avevamo parlato tanto come non facevamo da tanto. Ricordo che ad un certo punto, su una delle panchine di fronte alla fontana, s’era parlato del fatto che il Grosso, che gestiva un bar in compagnia di una socia insopportabile, avrebbe tanto desiderato aprire un bar in società con la Storta; e, pur di cambiar lavoro, volentieri lui si sarebbe associato a loro. Ma avevano già tutti quanti passato i trentacinque anni, mentre sapeva d’un certo bando di finanziamento regionale per progetti intrapresi da giovani sotto i trenta. “È un peccato…” “Beh, visto l’amore che porto per il mio lavoro, potrei anche farvi da quarto socio e portarvi i soldi del finanziamento” dissi, con candore e convinzione. “Lo faresti davvero?” “Perché no…?” “Ma tu, il Grosso e la Storta, nemmeno li conosci” “Sei tu che non me li vuoi far conoscere, e non ne capisco il motivo…”
Di lì a poco gli sarebbe suonato il cellulare. Mi bastò afferrare poche sue frasi per capire che, lupus in fabula, si trattava del Grosso. “Riaccompagnami a casa” mi disse, una volta riattaccato, mentre io sobbalzavo di sorpresa per l’inusuale brevità di una sua conversazione telefonica giunta ad interrompere una nostra conversazione, cosa che invece ultimamente era diventata assolutamente d’uso. “Portami a casa: il Grosso ha problemi con quella stronza della socia, e voglio andare a dargli manforte.” “E se ti accompagnassi io, direttamente da qui…? Così finalmente me lo presenti…” dissi mentre ci sfiatavamo verso il parcheggio. “Senti… c’è una cosa…” cominciò a bofonchiare mentre eravamo in auto, in direzione del bar del Grosso. “Cosa c’è? Hai paura di non ricordare la strada” “Può essere che quando siamo là, tu veda delle cose…” “Quali cose…?” gli chiesi; era tanto insolitamente a disagio, reticente come mai mi ero accorto che potesse essere, mentre io, pensando a delle cose, cominciavo già a figurarmi un locale per scambisti, un intero quartiere frociaro, un ostello per licantropi… “Potresti vedere certi atteggiamenti d’intimità tra me ed il Grosso…” Ecco che cominciavo a figurarmi una verità un poco più plausibile. “Era scosso al telefono, ha bisogno di sostegno, e potrebbe essere che io senta la necessità di abbracciarlo…”
Lo interruppi: “Non sarà il caso che inverta la direzione e ti lasci andare da solo…?” Lui esitò. Imboccai la prima uscita della tangenziale e vi rientrai a marcia invertita.
Ero furioso, tanto da faticare ad articolare i pensieri. “Quando cazzo pensavi di dirmelo!?” Orco cane, se ero furioso. E lui taceva. “Che cazzo pensavi!? Di farmi la bella sorpresa di baciarmelo davanti…?!” E lui taceva. “Ma hai mica un briciolo di considerazione del cazzo per me…? Chi cazzo ti credi di essere!? Cosa cazzo mi consideri, un autista che ti porta a spasso e basta??” “Smettila, tu hai proposto di accompagnarmi.” “Beh, c'erano particolari che evidentemente ignoravo... Che cazzo, e magari a un certo punto pensavi di chiuderti nel retrobottega con lui per ciucciargli il cazzo, ed io fuori ad aspettare…” “Smettila!!!” “Sei un uomo di merda…” mormorai con rabbia, colpendolo nel suo sconfinato orgoglio. “TU SEI UN UOMO DI MERDA! MI HAI DATO SOLO MERDA! LA NOSTRA STORIA ERA MERDA!!!” e me lo urlò nell’orecchio destro con tanta veemenza, con tanta ferocia, che per un attimo persi il controllo dell’auto e sbandai, saltando la corsia, ed il timpano avrebbe continuato a ronzarmi ininterrottamente per tutta la notte. Non ci fu un’altra parola quella sera: scese davanti al garage, prese la sua auto e se ne andò senza voltarsi, mentre io non volevo altro che guardasse quanto stavo piangendo per il male che mi aveva fatto.
Ecco, quest’episodio ancora un po’ brucia. Ma solo perché, guardando indietro da fuori, come se ne fossi stato solo uno spettatore, rifletto sul fatto che, da quel giorno in poi, la mia reazione ad ogni sua sberla, morale o fisica che fosse, era piantargli in faccia i miei occhi gonfi di lacrime, perché prendesse visione del male che mi infliggeva, come se non dovessi rivendicargli altro. E mi accorgo, perché lo vedo solo ora da spettatore esterno, non che lui distoglieva lo sguardo, bensì che lui non mi guardava nemmeno: colpiva alla cieca, sapendo sempre e comunque che avrebbe fatto male, ma non era affar suo: gli bastava guardare altrove. Ma non lo odio ora per questo, come non riuscivo ad odiarlo allora.
Anche quell’urlo bestiale sarebbe stato di lì a poco accantonato. Come veniva ad essere accantonata la festa per il mio compleanno: io non avevo alcunché da festeggiare e non volevo farmi vedere da nessuno, non volevo vedere negli occhi di qualche amico un’ombra della compassione che temevo di suscitare. Mi vergognavo. Volevo semplicemente che il mio ventottesimo compleanno passasse sotto silenzio. Una serata in casa, sul divano, davanti alla tivù a mangiarmi il budino che avevo preparato per me e per Ian. Sì, nel quadretto c’era anche lui, se non altro perché ancora coabitavamo e a lungo ancora avremmo coabitato.
Mi sorprese addirittura con un regalo, che purtroppo non sarebbe stata l’unica sorpresa della serata. Poiché, ad un tratto, prima che avessimo il tempo di tirar fuori dal frigo i budini, suonò il campanello. “Sono il Grosso” disse la voce al citofono. Ian mi guardò, e prima che avessi modo di formulare quello che avevo per la testa, disse “Ti giuro che non sapevo che sarebbe venuto. È una sorpresa anche per me, lo giuro.” “Splendido”, dissi, “un compleanno che non volevo affatto ricordare, sarà per sempre ricordato come il compleanno in cui ho conosciuto il tuo nuovo fidanzato” “Non fare scenate. E poi non poteva sapere che era il tuo compleanno…” Ed infatti, il mazzo di fiori con cui si presentò alla porta non era per me; ma lo trovai alquanto familiare…
Fortunatamente, se vogliamo trovare del buono in tutta questa storia, il Grosso aveva il pregio di essere brutto come il peccato, per cui non passai un solo istante a vergognarmi del fatto di essermi presentato a lui in pigiama, con i capelli arruffati e gli occhialoni da talpa. Passai giusto qualche pomeriggio a chiedermi che ci trovasse di attraente Ian in lui. Ma non troppi: il Grosso non durò fino a Capodanno.
Purtroppo, non avrei avuto il tempo di rallegrarmene: dopo il Lungo ed il Grosso, all’appello avrebbe risposto immediatamente il Cattivo... Ma questa è tutta un’altra storia… E no, non voglio raccontarla. Almeno non per ora.

martedì 25 novembre 2008

Novembre - Parte prima

Sono passati tre anni da quel novembre. E negli ultimi tre anni di cose ne sono successe talmente tante che non mi era mai accaduto di fermarmi a ricordare quel novembre, fino a qualche giorno fa, quando, assalito da un'improvvisa novembrina malinconia, mi sono voltato a guardare indietro. A cercare dentro di me cos'era rimasto di lui, e non di noi. Noi non ha più un senso da tanto ormai.
Noi era ancora qualcosa fino a quel novembre, e da parte mia lo sarebbe stato, inconsciamente, ancora fin troppo a lungo dopo.
Febbraio...
L'inizio della fine, ironicamente, meschinamente, era coinciso proprio con l'inizio di noi, della nostra vita in comune. All'inizio di quell'anno, il 2005, avevamo affittato casa insieme, ed all'inizio dell'estate il nostro rapporto sarebbe andato in crisi: non tanto per la convivenza in sé, quanto piuttosto per le diverse aspettative che c'eravamo creati sul nostro rapporto, sul nostro futuro insieme. Sui tempi stessi di quell'inizio. Paradossalmente, quando per me il tempo era maturato, dopo due anni di una relazione non serena ma stabile, difficile certo ma affrontata con voglia di costruire insieme il nostro qualcosa, per lui s'era fatto già troppo tardi. Forse lo sentivo, forse inconsciamente sapevo, e per questo forse m'ero convinto dovessimo compiere questo passo. Fatto sta che io finalmente lasciavo la casa dei miei ed andavo a vivere con lui; ero pronto, c'ero, mentre lui stava già un passo più avanti e stava maturando le proprie decisioni. Maturava di porre fine a noi.
Maggio...
L'occasione gli fu data da un nostro breve soggiorno giù a casa dei suoi, da quel nostro breve incontro con il suo ex di cui ho già avuto modo di raccontare; mi disse: "Tu non sei affatto geloso di me. Tu forse non mi ami quanto dovresti." "Non dire sciocchezze: io ti amo..." "Penso che non dovremmo considerarci più una coppia. Non mi sento amato abbastanza." "Non dire sciocchezze: abbiamo appena preso casa insieme; se non ti amassi, me ne sarei rimasto dai miei..." "Dico sul serio: prendiamoci un po' di tempo tutt'e due per pensare se ci amiamo abbastanza."
Giugno...
S'era preso il suo tempo, i suoi spazi. Prima, anche quando ancora non coabitavamo, non andavamo da nessuna parte se non insieme; ora, ogni tanto rifiutava d'accompagnarmi in giro; qualche volta spariva e quando ricompariva mi raccontava di essere stato a trovare i nostri amici in comune, ma da solo perché aveva bisogno di parlare, di confrontarsi. Aveva anche un nuovo amico, telefonico, che chiameremo il Lungo, conosciuto tramite la stessa chat (non una chat gay, nessun profilo, nessuna foto) dove ci eravamo conosciuti noi. Ma non m'importava, pensavo fosse giusto concedergli i suoi spazi: se anche diceva ai nostri amici che non dovevano considerarci una coppia, che non dovevano per forza frequentarci insieme, io e lui dormivamo ancora nello stesso letto, facevamo ancora l'amore... Un fine settimana, alcuni amici ci avevano invitato a raggiungerli al mare dove stavano trascorrendo la villeggiatura: ricordo l'autostrada, il traffico, lui che mandava sms a ripetizione mentre io cercavo di non perdere la strada. "Sta succedendo qualcosa" mi disse ad un tratto, mentre eravamo in coda ed io temevo che ci fossimo persi. "Cioè...?" "Il Lungo intende lasciare il suo ragazzo." "Perché...?" "Ha capito di non amarlo quanto dovrebbe." "E...?" "Il prossimo weekend vado a trovarlo." "..." "Da amico, per parlare di noi." "Preferirei che non andassi." "Non dipende da te."
Luglio...
Era di domenica. Stavo lavando i piatti di un dopo pranzo domenicale, mentre lui si accendeva la sigaretta del dopo caffé. Il weekend dopo il suo weekend con il Lungo. "Non mi hai chiesto se ci ho fatto l'amore." "Mi hai detto tu che non ci hai fatto l'amore..." "Tu non me l'hai chiesto." "Mi hai raccontato tutto quello che avete fatto, aggiungendo che hai dormito nella camera degli ospiti e che non avete fatto sesso..." "Tu non mi hai chiesto se ci ho fatto sesso." "Ci hai fatto sesso?" "Ci ho fatto l'amore."
Agosto...
Anche noi avevamo una camera per gli ospiti, ma non la utilizzavamo. Continuavamo a dormire nello stesso letto matrimoniale, ma non ci facevamo sesso, tantomeno ci facevamo l'amore. Lui trascorreva i suoi weekend fuori città, con l'altro; io trascorrevo i miei, chiuso in casa a piangere. Poi è partito, scendendo quasi tutto il mese per le ferie a casa dei suoi; il progetto era che l'ultima settimana l'altro l'avrebbe raggiunto. Chiuso in casa, per non dover parlare con nessuno di quello che mi stava accadendo, avevo ripreso a frequentare la chat. Con un certo successo. Ed un paio di volte, appena prima che i discorsi in chat si facessero seri, mi ritrovai al telefono con lui. "Non mi piace il tizio con cui stai chattando." "Mi stai controllando...?" "No. Qui non c'è niente da fare, stavo dando un'occhiata ed ho letto il vostro scambio di messaggi." "Non credo di dover rendere conto a te, ormai..." "Ti sto solo dicendo che quel tizio non mi piace. Non dovresti buttarti via con quello: meriti di meglio." "Sto solo chattando..." La seconda volta, ci ritrovammo a fare del sesso telefonico. "Perché non mi raggiungi la prossima settimana?" mi chiese, quando avemmo fatto. "Non doveva raggiungerti il Lungo...?" "Lui non può... ed io non voglio più." "E cosa vuoi?" gli chiesi sulle sue montagne, quando infine decise che dovevamo parlare a quattr'occhi, io e lui, noi, e mi portò a fare una gita in auto. "Voglio che mi perdoni. Ho fatto uno sbaglio."
Settembre...
"Mi ha contattato una tipa della chat." "Chi è...?" "Una con cui ho scambiato parecchi messaggi. L'avrai letta, sta sempre in chat: la Storta" "Un po' insignificante..." "Non è vero. E poi lei invece ti stima molto." "Le hai parlato di me?" "Abbiamo parlato delle persone della chat che abbiamo conosciuto. Le ho detto che ti conosco e lei mi ha detto che ha letto qualche volta quello che scrivevi e che ti stima molto." "Le hai detto che stiamo insieme?" "No." Non l'aveva detto nemmeno ai nostri amici extra-chat. Era l'unica cosa che mi dava fastidio, dato che il Lungo era già un capitolo chiuso e dimenticato. Ma mi ripeteva che voleva tenere la nostra riconciliazione per noi, perché riguardava solo noi e perché gli altri ne sarebbero stati invidiosi. E perché gli altri avrebbero pensato che avesse preso certe decisioni un po' troppo alla leggera, e non voleva passare per uno leggero.
Ottobre...
"Domani vado a conoscere la Storta" mi annunciò qualche tempo dopo. "Dai. Vengo anch'io, vuoi?" "No, preferisco di no." "Perché?" "La Storta è una mia amica: non deve diventare per forza anche un'amica tua, tanto più che la ritieni insignificante..." "Non la conosco. Se la conoscessi, probabilmente scoprirei perché ti è tanto simpatica e diventerebbe simpatica anche a me." "Non deve piacerti per forza." "..." "E poi vuole farmi conoscere un suo amico." "Cioè? Un altro della chat...?" "No. Un amico suo. Dice che abbiamo tanto in comune: lui sta attraversando un periodo un po' così con il suo ragazzo, e la Storta pensa che parlare un po' con me gli farebbe bene..." "Lui quindi è gay...?" "Certo." "Ma gliel'hai detto alla Storta che stiamo insieme, vero? Mi avevi detto che gliel'avevi detto." "Sì, lo sa, ma che cosa c'entra?"
E poi venne novembre...

Giusy Ferreri - NOVEMBRE

(R. Casalino)
Ho difeso le mie scelte
Io ho creduto nelle attese
Io ho saputo dire spesso di no
Con te non ci riuscivo


Ho indossato le catene
Io ho i segni delle pene
E lo so che non volendo ricorderò
Quei pugni nello stomaco


A novembre
La città si spense in un istante
Tu dicevi: Basta, ed io restavo inerme
Il tuo ego è stato sempre più forte
Di ogni mia convinzione


Ora a novembre
La città si accende in un istante
Il mio corpo non si veste più di voglie
E tu non sembri neanche più così forte
Come ti credevo un anno fa, a novembre


Ho dato fiducia al buio ma
Ora sto in piena luce e in bilico
Tra estranei che mi contendono
La voglia di rinascere


E tu parlavi senza dire niente
Cercavo invano di addolcire
Quel retrogusto amaro
Di una preannunciata fine





Non so se il video resterà visibile sufficientemente a lungo, perché mi par di capire che la nuova tendenza tra gli artisti (o forse, tra le case discografiche) sia quella di bloccare l'incorporamento dei videoclip ufficiali da YouTube...
Comunque sia, la ragione per cui mi prostro davanti a questa canzone è il suo testo. Che è un'introduzione perfetta al prossimo post...
(Non è una tattica per creare suspence e tenere avvinti i lettori... è che mi ci vuole ancora un po' per trovare la giusta distanza...)

lunedì 24 novembre 2008

"...Fatti sentire...!"

Una delle tante follie femminili che proprio non riesco a comprendere e che mai comprenderò, è il piacere che le donne possano provare nell'indossare stivaletti, francesine e scarpe con stiletti rinforzati che, insieme ai piedi, riescono a torturare anche i timpani, non tanto i loro, quanto quelli altrui.
Se c'è una cosa che riesce davvero ad irritarmi, quando me ne sto seduto affaccendato al mio computer in ufficio, con l'auricolare con la musica nell'orecchio sinistro, è il cloppete cloppete che mi giunge all'orecchio destro dal corridoio quando certe colleghe lo percorrono da cima a fondo con le loro adorate scarpe piombate.
Ma avessero gambe chilometriche e colossali falcate, sarebbe niente. No! In genere a mettere ai piedi certi baracconi sono le tappe alte un metro ed una spanna, col culo basso che accorcia ancor più la coscia, per cui per percorrere venti metri arrancano per venti minuti buoni. O peggio, sveltiscono il passettino come le galline quando si lancia loro la pappatoia.
Cloppete cloppete cloppete cloppete...
Pensano forse che una suola in cemento armato slanci le loro zampette corte? o che rialzi la chiappa cascante donando loro un lato b brasiliano...? Sbagliano, ah quanto sbagliano!
E per di più, certe interminabili cavalcate delle valchirie, più che a teutoniche amazzoni, rimandano alle loro grasse giumente coi pesanti ferri agli zoccoli.
Ed associare uno zoccolo ad una zoccola, è un attimo.

sabato 22 novembre 2008

Dicono che la crema faccia bene alla pelle

Da quando sono al mondo, questo periodo dell'anno si rivela per me ansiogeno. No no, non lo vivo bene, nonostante tutti i buonissimi propositi che ad ogni compleanno puntualmente rinnovo.
Mancano ancora otto giorni, e li sto vivendo in un limbo di attesa.
Il punto è tutto qui: chi si scorderà questa volta di farmi gli auguri? chi ed in quale modo mi rovinerà la festa?
Perché c'è sempre qualcuno che ci riesce benissimo, sempre! E la rosa dei candidati negli ultimi dodici mesi s'è molto ampliata...
Ed io qui, ad aspettare la prossima torta in faccia.

lunedì 17 novembre 2008

Ciao

Fino a qualche ora fa pensavo di stare lontano dal blog per qualche giorno. Non per farmi desiderare, bensì perché, a meno di due settimane al traguardo dei 31, sento dentro una forte voglia di fare le pulizie. E per fare le pulizie come vanno davvero fatte, occorre un po' di tempo che, non potendo sottrarre ad altre attività (quelle remunerative, per intenderci), bisogna che sottragga a quelle che svolgo per diletto.
Poi però ho letto questo articolo su Giorgia Passeri. Ora, per ricordarsi chi sia Giorgia Passeri bisogna avere più di venticinque anni e forse non più di trentacinque: Giorgia Passeri è stata la prima conduttrice di CiaoCiao, programma di Rete4 degli anni Ottanta che, prendendo a modello il cult BimBumBam, si proponeva d'intrattenere i bambini con gag, angolo della posta e siparietti tra un cartone ed un altro. Erano i tempi in cui CiaoCiao andava in onda subito dopo pranzo, se non ricordo male; poi si facevano i compiti e s'interrompeva alle 16 per riaccendere la tivù su BimBumBam ed insieme fare la merenda.
Della conduzione di Giorgia Passeri non ricordo molto, poiché ad un certo punto lei lasciò il programma per passare alla concorrenza, ovvero condurre Big! sulla RAI, che veniva trasmesso in contrapposizione a BimBumBam allo stesso orario e per lo stesso target di pubblico; ed io a quei tempi, esattamente come ora, preferivo di gran lunga i programmi targati Fininvest/Mediaset a quelli della Tv di Stato. Per principio.
Ma meglio di Giorgia, mi ricordo di Paola Tovaglia (qui nella foto, con il pupazzone Four), che approdò a CiaoCiao dopo di lei. Mi ricordo perfettamente della sua prima conduzione, del suo debutto in video. Perché allora per me era già un personaggio familiare. In particolare, familiare, a me e a tanti bambini di allora, era la sua voce: che era, tra tante altre, la voce della perfida Lavinia in Lovely Sara, del pestifero Jimmy in Pollyanna e della ginnasta Hillary nell'anime omonimo. E Paola era stata, come attrice, la maestra di Andrea nei telefilm della serie Licia, l'anime giapponese divenuto una longeva serie di culto prodotta qui in Italia, che aveva visto il debutto di Cristina D'Avena come attrice, accanto a tutta una generazione di conduttori tv per i ragazzi (oltre a Paola, Marco Bellavia, Carlotta Brambilla, Debora Magnaghi).
Mi ricordo con affetto e nostalgia di Paola. E subito dopo apprendo con un certo sgomento, con quindici anni di ritardo, che Paola non c'è più. Se n'è andata che non aveva ancora ventinove anni.
Se mi metto a far le pulizie adesso, con questo strano vortice di pensieri per la testa, finisco per perdere il punto. Bisogna che svisceri subito. Qui.
Perché accanto allo sgomento per un'amica persa di vista, ritrovata e subito perduta, c'è l'amara riflessione sulla tivù di oggi.
Nell'articolo Giorgia Passeri parla di un certo modo di far televisione che oggi non si usa più; lamenta la mancanza di uno spazio per i bambini, di un buco di fantasia ed educazione. E non si può darle torto.
I bambini di oggi non sanno cos'erano BimBumBam e CiaoCiao, non hanno potuto scrivere una lettera né hanno mai mandato un disegno a Uan o a Four, non hanno mai sentito nominare Uanathan o Manola. Pazienza -si potrebbe pensare- ogni generazione ha i propri personaggi ed i propri miti...
Ma in luogo di BimBumBam, sulle reti ed agli orari che una volta erano la fascia pomeridiana dei ragazzi, oggi va in onda Uomini e Donne; al posto degli ingenui e scanzonati pupazzi, si vedono i tronisti; invece che le letterine dei bimbi e i siparietti educativi di un giovane Bonolis, i bambini assistono alle urla sgangherate di un'emula di Karina Cascella ed ai vacui sguardi finto-sexy di una brutta copia di un già-di-per-sé vacuo Costantino.
Per carità, mai e poi mai leggerete qui strali lanciati contro Maria DeFilippi, di cui in sincerità apprezzo il ruolo di personaggio e di autrice tv (C'è posta per te, dite quello che volete, ma per me va citato tra i cult, e non posso vederne una puntata senza piangere a fiumi)... ma Uomini e Donne è una cagata pazzesca. Omuncoli e donnicciole che si fingono seduttori e fingono un amore al solo ed unico scopo di apparire in tivù, una beffa ridicola, una finzione sfacciata spacciata per sentimenti sinceri su cui si giura e spergiura.
E nel frattempo, Marco Bellavia, Carlotta Brambilla e Debora Magnaghi sono stati relegati alle televendite, i cartoni animati vengono mandati in onda intervallati solo dagli spot dei giocattoli, ai bambini non si parla nemmeno per un secondo di educazione, non li si invita alla fantasia e al gioco, li si lascia da soli a pascolare davanti ad uno schermo. Perché l'educazione di un bambino non è più un compito della tivù.
Ed il grosso guaio è che spesso anche i genitori lasciano i bambini a pascolare davanti ad uno schermo, come fa la tivù.
D'accordo, vent'anni fa molti genitori non erano tanto diversi. Lo dico per esperienza. Ma almeno era diversa la tivù.
Una volta c'era Paola.

sabato 15 novembre 2008

Dalida - PER NON VIVERE SOLI

(S. Balasko - D. Faure - Medail)
Per non vivere soli, si vive con un cane
Curando delle rose o portando una croce
Per non vivere soli, ci si inventa un passato
Pur di amare qualcosa: un ricordo, una voce
Per non vivere soli, si vive per l'estate
E, quando questa muore, per la prossima estate
Per non vivere sola, ti amo e aspetto te
Per aver l’illusione di non vivere sola


Per non vivere soli, nascono quegli amori
Che la gente per bene chiama “particolari”
Per non vivere soli, si fanno dei bambini
Che rimangono soli come tutti i bambini
Per non vivere soli si fanno cattedrali
Per dare alla speranza un nuovo paio d’ali
Per non vivere sola, ti amo e aspetto te

Per avere l’illusione di non vivere sola

Per non vivere soli, ci si fa degli amici
Per quando la stanchezza sta mettendo radici
Si vive per i sogni, il denaro, i palazzi
Ma i soldi non riscaldano un letto a due piazze
Per non vivere sola, io vivo insieme a te
Sono sola con te, tu sei solo con me
Per non vivere soli, viviamo come chi
Ma illudendosi che forse non sia così


Mina - PIÙ DI COSÌ

(G.P. Felisatti - A. Salerno)

Tu con la faccia dura e senza sogni
Sulla mia pelle sai lasciare i segni
Sulle ferite poi ci metti il sale
Io non capisco questo strano amore


Ma dovrei fare esattamente come
Fa un cane buono con il suo padrone
Contro di te che sai tenere banco
Coprire con gli stracci un cuore stanco

Più di così, non so più cosa dare
Più di così, che cosa fa più male?
Perderti adesso e non vederti più
Ricominciare come lo vuoi tu

Più di così mi chiedi e mi pretendi
Più di così mi stringi e poi mi stendi
E a denti stretti io ti dico sì
Perché ti amo

Perché non trovo mai una via d’uscita?
Perché mi dico sempre che è finita?
E poi mi trovo chiusa in un bicchiere
Dove tu puoi tranquillamente bere

Più di così che cosa vuoi che faccia?
Più di così non apro le mie braccia
Ma dove vuoi che vada senza te?
Tutto daccapo e il resto va da sé

giovedì 13 novembre 2008

Perdonami per questa voce disfatta

Non è che sia proprio di natura e salute cagionevole, tanto che, nell'arco dei dieci anni di attività nell'azienda dove lavoro, le mie assenze si contano sulle dita (anche se preferisco non specificare di quante mani). E non sono nemmeno uno che quando s'ammala passa le giornate a letto a lamentarsi (tant'è che, vivendo da solo, i miei gemiti non muoverebbero a compassione chicchessia e sarebbero fiato sprecato).
Invero è quasi inevitabile che, ad un brusco cambio di stagione, come quello di questa settimana, io mi ritrovi con le ossa dolenti, il naso paonazzo e gli occhi umidi per un tre-giorni.
Pazienza. Anche perché un lato positivo c'è: in quei tre giorni finalmente mi ritrovo una sensuale voce roca che Marge Simpson/Liù Bosisio se la sogna.
Bisogna che ne approfitti e colga l'occasione al volo: ho chiamato il call-center della Vodafone, il centro-assistenza clienti dell'azienda del gas, il servizio informazioni sul traffico della Società Autostrade, la pizzeria per una consegna a domicilio.
Ho ottenuto un rimborso sulla prossima bolletta del gas e, soprattutto, ho fatto una strage di cuori.
A parte con la signorina Vodafone, che s'è subito intagliata che trattavasi di una temporanea raucedine e voleva dirottarmi la telefonata sulla farmacia più vicina a casa...

martedì 11 novembre 2008

Equilibrio precario

Scena di quotidiana vita d'ufficio.
StoCaCaCazzi: “Che diavolo succede? Il pc è collegato, la stampante è collegata. Perché allora non esce la stampa?”
ItalianColin: “Sarà la stampante che si rifiuta di lavorare per te…”
(EdgarVirtuale: “Stai sul cazzo pure alla stampante…”)
Edgar: “Stai sul cazzo purumpumperoperonciao... Avete sentito l'ultima su Berlusconi...?”
Dato che non sono un equilibrista e che mi sono accorto un filo troppo tardi di essermi avventurato su una pericolosa corda tesa, tra l'inimicizia definitiva e dichiarata con StoC ed un'ennesima figura barbina, mi son lasciato cadere sulla seconda, atterrando sulle mie tonde natiche.

domenica 9 novembre 2008

Orgoglione nazionale

Sono orgoglioso di essere connazionale di questa gente qui.
Purtroppo, non ho il potere di espellere questo qua.
Ma confido sempre che "Dio ci salvi dagli imbecilli" e che non lasci a lungo i suoi lavoretti a metà.

Mediamente isterico al tour

Quello che non capisco dei ventenni di oggi è come si possa andare ad un concerto, a circa cinque metri da Carmen, e passare le due ore dell'esibizione immobili, con il cellulare in mano, per registrare lo show, invece che cantare, muoversi e sgolarsi.
Quello che mi avrebbe potuto rendere isterico, in altre circostanze, è che il ventenne di cui sopra, due minuti prima dell'inizio del concerto, con nonchalance mi ha dato una spallata per piazzarmisi davanti, senza avere almeno la premura di essere più basso di me.
Ma a parte questo... grandiosa serata.

venerdì 7 novembre 2008

Numeri alla mano

Questo blog non è frequentatissimo, e soprattutto non crea una particolare affezione.
Da quando ho installato lo StatCounter, tengo costantemente sott'occhio chi transita da queste parti, più che altro per una naturale curiosità che mi porta ad interrogarmi sui motivi o le modalità per cui qualcuno, navigando navigando, approda al mio indirizzo. Sì, son curioso, che male c'è?
Lo StatCounter soddisfa tali curiosità, anche se in realtà non ho ancora ben capito come interpretare correttamente certe cifre relative a visit lenghts e visitor paths...
Fatto sta che il capitolo più interessante, a mio parere, è quello circa la keyword analysis, ovvero l'analisi delle chiavi di ricerca inserite in Google o in altri motori di ricerca, che conducono a qualche mio post. Il sistema infatti memorizza tali chiavi, allo scopo dichiarato -dicono quelli di StatCounter- di farmi capire quali argomenti trattati hanno attirato traffico e quindi su cosa puntare per farmi tanti nuovi lettori.
In pratica mi insegnano a come metter in piedi un blog ruffiano.
Non è che mi interessa più di tanto predisporre esche, ed a dire il vero la keyword analysis non mi ha nemmeno svelato segreti che già non sapessi di mio: i numeri sono tutt'altro che alti, ma la parte del leone la fanno da sempre le ricerche su "chris evans" e su "raphael laus" (che in effetti ha condotto al mio indirizzo anche genti dal Cile, dalla Corea e dall'Europa dell'Est: il manzo piace un po' in tutto il mondo...).
In momenti particolari, anche le canzoni e le lyrics sono esche importanti. Per puro caso, ho postato il "testo di mourir sur scéne di dalida" un paio di settimane prima della messa in onda della replica del film con la Ferilli sulla divina francese: io me ne stavo imbelle in Tirolo ed in quei giorni ebbi un boom di contatti da tutta Italia.
Anche il "tunga tunga di ambra" e "un giorno disumano della nannini" han fatto numero; non altrettanto le lyrics di Carmen, probabilmente perché ci sono molti siti e blog più frequentati che compaiono prima del mio negli elenchi forniti da Google.
Quello che mi sorprende invece è che ci sia, qui in Italia, un sacco di gente che cerca foto di "sesso con sheree j wilson"... Lo ammetto, per me (per motivi assolutamente professionali) resterà per sempre una delle meglio gnocche della tivù, ma la April di Dallas farà cinquant'anni tra un mese: non sarebbe meglio farsi le pippe con carne un po' più fresca...?

giovedì 6 novembre 2008

La mia Fede è troppo scossa

"Dio ci salvi dagli imbecilli"
(S. Berlusconi)

Per un attimo ho sperato che Qualcuno Lassù fosse in ascolto.
Ma poi lui non è stato fulminato...

martedì 4 novembre 2008

Un'auretta assai gentile

Pochi istanti fa, a Le Iene, è andato in onda un servizio della Iena Lucci (mi pare si chiami così, non è mai stato una delle Iene a me più simpatiche), che, munitosi di rossetto e mossettine, cercava di provocare Storace sull'argomento "Destra ed omosessualità", a seguito delle rivelazioni seguite alla morte di Haider, a proposito della relazione omo con il suo braccio destro (ne avrete sentino parlare, non linko).
A parte il fastidio per l'ennesima parodia del frocetto (fastidio aumentato dalla già citata antipatia per la Iena), mi ha colpito questo veloce scambio di battute, con i due protagonisti sdraiati vicini vicini su un divanetto:
Storace: “Avresti un futuro come ministro”
Iena: “Ministro...? Perché tra i ministri ci sono dei gay?”
Storace: “No no. Ma facendo certi favori al Presidente del Consiglio, una poltrona la trovi"
...
A chi mai avrà voluto alludere...?
Mah... Certo che un venticello da sinistra, un'auretta da destra, qui qualcuno si busca una bronchite.

lunedì 3 novembre 2008

L'ultima preghiera: A rogo, strega eretica

Qualche giorno fa, il Vaticano ha fatto sapere che intende sottoporre i seminaristi ad alcuni test psicologici per capire chi tra loro sia omosessuale e quindi vietare a questi l'accesso al sacerdozio. Fin qui: chi se ne frega. Nel senso che, da una mandria di ipocriti, non ci si può attendere altro che ipocrisie.
In sostituzione dell'Eminence di littizzettiana memoria, che ormai s'è pensionato, ma di cui molti giornalisti sentono evidentemente una morbosa nostalgia -mancherà loro lo spunto per riempire un paio di trafiletti qua e là?- il giorno appresso, il CorSera ha chiesto un'opinione a questa gallina vecchia sulla sinistra, che, se fossi un gentiluomo, dovrei identificare come l'onorevole Paola Binetti.
Suddetta stronza appoggia in pieno la decisione vaticana -dubitavasi?- ricordando a tutti -come se fosse una cosa che qualcuno possa o voglia scordare- come la Chiesa abbia vissuto nel recentissimo passato il dramma dei preti pedofili, pertanto ha ragione a correre ai ripari...
...
...
...
Sbaglio o questa grandissima puttana, in pratica, ha equiparato l'omosessualità alla pedofilia? E di conseguenza, mi ha dato del pedofilo...?
Le cose sono due. O è in buona fede, crede in quello che dice, ed allora è semplicemente una cretina di un'ignoranza abissale... Oppure, come mi vien da pensare, cerca di cogliere due piccioni con una fava, scaricando addosso a questa mia razza immonda fustigata da Dio già ai tempi di Sodoma e Gomorra, anche la colpa della deriva immorale della Chiesa cattolica. Cioè, se la Chiesa è malata, ad infettarla sono stati i finocchi.
Ma vaffanculo...
Devo sprecare due righe per far presente che la pedofilia è un crimine, che purtroppo viene commesso da una minoranza di persone psicologicamente disturbate, che possono essere tanto omo quanto eterosessuali...? Che la pedofilia dall'interno della Chiesa non si sradica vietando ai gay il sacerdozio? E che un gay può affrontare il voto di castità come lo affronta un etero...?
P.S. Queste e queste le fonti e qui gli aggiornamenti.

domenica 2 novembre 2008

Face your Edgar

























Passato Halloween, spero di essere preso sul serio, nel momento in cui sono qui a comunicare che sto pensando di cambiare un po' il mio look.
Qualcuno s'è già accorto che sul ritratto accanto al profilo, da qualche giorno, è apparso un pizzetto. Coltivato per scommessa (anche se in verità vi dico che in passato l'avevo già portato, riscuotendo anche un certo successo - modestamente...), l'intenzione era quello di tagliarlo prima di presentarmi al concerto di Carmen.
Tuttavia... potrei anche ripensarci. Oppure scegliere un altro dei look alternativi di cui sopra.
Preferenze, suggerimenti...?

sabato 1 novembre 2008

La quarta I


C'è forse da aggiungere qualcosa...?