domenica 26 agosto 2012

Cefalù


A memoria di una breve ma bella vacanza. In buona compagnia.

sabato 18 agosto 2012

W.H. Auden - Funeral Blues

Stop all the clocks, cut off the telephone,
Prevent the dog from barking with a juicy bone,
Silence the pianos and with muffled drum 
Bring out the coffin, let the mourners come.

Let aeroplanes circle moaning overhead
Scribbling on the sky the message He Is Dead,
Put crêpe bows round the white necks of the public doves, 
Let the traffic policemen wear black cotton gloves.

He was my North, my South, my East and West,
My working week and my Sunday rest,
My noon, my midnight, my talk, my song;
I thought that love would last for ever: I was wrong.

The stars are not wanted now: put out every one;
Pack up the moon and dismantle the sun;
Pour away the ocean and sweep up the wood;
For nothing now can ever come to any good.

Ieri, mentre cazzeggiavo su Wikipedia, di link in link sono capitato su questa poesia del 1938, che mi ha commosso fino alle lacrime. Non la ricordavo, ma si tratta della poesia citata nella scena del funerale di Quattro matrimoni e un funerale (1994).



P.S. Approfitto di questo post per avvisare che mi assento nuovamente per qualche giorno. Al mio ritorno dovrebbe essere ricomparso anche l'umore giusto per riprendere e portare a conclusione il racconto di Marco ed Andrea. A presto.

giovedì 16 agosto 2012

Vuoto a perdere

Ieri sera mi è caduto l'occhio su uno scambio di commenti sulla pagina FaceBook dell'amico con cui sono stato al Padova Pride Village alcune settimane fa [ne accennavo qui]. In sostanza, diceva di essere stato in questo luogo ma "solo per assistere al concerto" dell'amata Alice e di avervi visto solo "tristezza" e "gente strapiena di vuoto"...
...
Vabbé, siamo stati nello stesso luogo e nello stesso momento ma in due dimensioni diverse e parallele, m'è venuto di pensare.
A meno che con quelle frasi non si riferisse proprio a me, perché io sì quella sera mi sono sentito particolarmente triste e vuoto, soprattutto quando tornava ripetutamente a cadermi l'occhio su una coppia di ragazzi che insieme non facevano la mia età, uno con una bionda cresta alla mohicana, l'altro con la faccia da secchione sfigatello, seduti l'uno sulle ginocchia dell'altro per cedere una sedia a quella che poteva essere la madre dell'uno e la suocera dell'altro...
Una sensazione di vuoto e di smarrimento che mi ha ripreso più volte anche nei giorni a seguire, mentre ero in spiaggia sulla sdraio e la musica negli auricolari non suonava abbastanza forte da coprire quella voce che diceva: anche quest'estate in vacanza da solo!?!
Che è un bel dire che quando si è soli si è liberi di fare tutto e solo quello che si vuole. Ma si omette di aggiungere che far le cose in due è comunque meglio.
Sono abbastanza stufo di tutta questa solitudine sentimentale. Per compensare, in certi momenti immaginavo cosa avrebbero detto e fatto Marco&Andrea se si fossero ritrovati con i miei stessi rumorosi vicini di sdraio o se avessero visto sul lungomare le stesse facce che incrociavo io. Un gioco che però rivela(va) come anche raccontare la loro storia non sia altro che un tentativo di compensare quello che MI manca.
In un ristorante, l'ultima sera di vacanza, mentre mangiavo solo, la tavolata accanto era composta da un terzetto di allegri ragazzi gay e da un altrettanto spigliato terzetto misto eterosessuale. Una di quelle tavolate come piacciono a me, in cui si ride e si scherza anche sulla diversità dei sessi e degli amori, una di quelle cui non partecipo da mesi e che pure ho cercato di riprodurre con la fantasia creando per Marco&Andrea un variegato circolo di amici.
Un variegato circolo di amici è proprio quello che questo blog non è riuscito a ricreare attorno a me. Per un po' ci ho sperato, ma niente.
Marco ed Andrea hanno ancora qualcosa da dirsi e qualcosa da fare. Dopodiché io non so se continuare o meno l'esperienza del blog. Avrei un bisogno quasi disperato di tuffarmi in una vita più vera, con un amore e delle persone reali con cui parlare e da abbracciare alla fine delle nostre belle chiacchierate... Ma è la paura di non trovare più mai né l'amore né il circolo di amici che mi ha spinto ad aprire un blog e mi ha trattenuto tanto a lungo qui. Quindi, non so, non sono decisioni che riesco a prendere razionalmente da un giorno all'altro.
Quello che mi resta è la paura. Ed una voragine che non mi inghiotte solo perché è la voragine ad essere dentro di me.

mercoledì 8 agosto 2012

18. Di Marco e di quella volta che conobbe Davide

“Pronto…?”
“Ehi, pronto” rispose Andrea. “Che fai?”
“Niente, stavo per uscire…” replicò Marco. “Non mi aspettavo una tua chiamata oggi che è il sabato di Davide…”
“Il bello è questo: adesso che sai tutto, posso chiamarti senza aver paura che tu senta la voce di Davide in sottofondo…”
“La contropartita è che io ho la mano sulla bocca di Tommaso per tenerlo zitto…”
“Chi?” chiese Andrea.
“Non provare a fare lo gnorri. Sai esattamente di chi sto parlando…”
“So chi è Tommaso. Ma non mi aspettavo questa punzecchiatura…”
Punzecchiatura?” fece Marco. “Altro che punzecchiatura: non sai il morso che mi sta dando… E non sai che morsi mi stava dando prima che chiamassi. E dove…”
“Sei un cretino…”
“Per questo stiamo bene insieme: perché siamo uguali.”
“Noi abbiamo appena finito di pranzare. Perché non ci raggiungi, me e Davide?”
Marco fu colto completamente alla sprovvista da quella domanda. “Non… Beh, perché non me l’hai chiesto ieri? Mi sarei procurato qualcosa da portare a Davide…”
“Perché non volevo che cercassi di arruffianartelo con qualche regalo. O che ti preparassi qualche storiella da raccontargli.”
“Sì ma se, senza regali, non gli piacessi…?”
“Sarebbe terribile…” sentenziò Andrea con enfatica gravità.
Fu così che Marco, tesissimo, mezz’ora più tardi si ritrovò a suonare il campanello di casa di Andrea. Un paio di minuti dopo, finalmente, la porta si aprì, ed un nanetto con i capelli neri e gli stessi occhi di Andrea si affacciò con aria curiosa.
Marco si piegò sulle ginocchia ed articolò un paio di vocali che restarono mute, prima di riuscire a scandire un ciao e a mostrare il suo sorriso migliore.
Davide restò in silenzio, timido di fronte allo sconosciuto, ma senza smettere di osservarlo con un’espressione a metà tra l’interrogativa e la corrucciata. Forse non si aspettava di aprire la porta a qualcuno che non conosceva.
“Ciao” ripeté. “Io mi chiamo Marco. E tu sei Davide?”
Niente, il bambino non proferiva verbo e non cambiava espressione.
Andrea apparve alle spalle di Davide, prendendoselo in braccio. Era rimasto qualche passo indietro a godersi la scena. “Ehi, ma è il mio amico Marco. Ti ricordi che ti avevo detto che sarebbe venuto a trovarci il mio amico Marco? Dai Davide, saluta Marco.”
Il bambino disse finalmente ciao e subito dopo si strinse al padre, la sua rosea e paffuta guancia contro quella ispida di barba del genitore. Sarebbe stata un’ottima foto da incorniciare: insieme, in quella posa tanto spontanea, ispiravano sincera tenerezza.
Marco si frugò rapidamente nella tracolla. “Ti va una caramella, Davide?” domandò, porgendogli una caramellina al mou.
Davide cacciò subito fuori la manina aperta, guardò qualche istante il dono che gli era stato porto, poi scartò la caramella e l’infilò in bocca, concedendo finalmente all’ospite il suo primo sorriso.
“Non avevamo detto: niente regali ruffiani…?” fece Andrea scostandosi per lasciare entrare Marco in casa.
“Davide, se ti piacciono, ne ho tante altre…” replicò Marco, senza badare al padre saccente.
“Mi piacciono” confermò il bambino.
“Guarda che non è un cagnolino cui si rifila lo zuccherino per farsi fare le feste…” tornò alla carica Andrea, poggiando il figlio a terra.
“Davide, tuo papà è terribilmente noioso…” disse Marco.
“La mamma è più noiosa” rispose il bambino.
Andrea accennò un rapido e furtivo gesto dell’ombrello. “Credo che l’ometto intenda dire che, se ci fosse la mamma al posto del papà, lei non gli lascerebbe mangiare caramelle dieci minuti dopo che ci siamo lavati i denti…”
“Basta non dirlo alla mamma” sentenziò Marco; poi, rivolto al piccolo: “Vero che non lo diciamo alla mamma, Davide?”
Mentre il bambino non dava alcun cenno d’intesa, Andrea ghignò. “Ecco bravo. Così siamo tutti sicuri che la prima cosa che dirà alla mamma quando la vede è che lo zio Marco l’ha riempito di caramelle e che s'è raccomandato di non dirle niente…”
Marco guardò Andrea con lo sguardo agghiacciato di chi avrebbe voluto strapparsi la lingua a morsi.
Andrea se la rise ancora. “Non è mica la fine del mondo, vero Davide?”
Alla richiesta di complicità formulata dal padre, il piccolo assentì con decisione, poi prese a fissare Marco.
Marco s’inginocchiò. “Allora Davide, cosa mi racconti?”
Andrea intervenne subito. “Guarda che sta aspettando la caramella che gli hai promesso…”
Marco estrasse dalla tracolla l’intero pacchetto per porgerlo al bambino, ma il padre fu più lesto e glielo prese di mano. “Solo un’altra caramella, per adesso” sgridò entrambi. “Questo pacchetto lo prendo in consegna io”.
“Sei noioso” gli rispose Davide.
“Ah sì, sono noioso? Allora questa è proprio l’ultima caramella che avrai, oggi” replicò Andrea, che subito dopo guardò Marco con un’occhiataccia per dargli ad intendere che era tutta e solo colpa sua se era stato appena degradato da padre perfetto.
“Beh dai… Papà non è poi tanto noioso, vero Davide? Scommetto che insieme vi divertite un casino…”
“Ehm, non so se casino sia una parola lecita da pronunciare davanti ad un bambino di quattro anni” disse a mezza voce Andrea, che si stava effettivamente divertendo un casino a prendere in giro Marco per quel suo modo di rapportarsi al piccolo. “Dai Davide, racconta a Marco cos’abbiamo fatto stamattina.”
“Siamo stati al parco-giochi e abbiamo giocato con Alberto…”
“Chi è Alberto? Un tuo compagno d’asilo…?” domandò Marco.
Davide si esibì di nuovo nella sua espressione corrucciata.
Andrea rise guardando il figlio. “Davide, non fare così. Marco non sa chi è Alberto. Spiegaglielo…”
“Alberto è un lupo…”
“È il cane lupo della signora del primo piano” spiegò Andrea.
“Un lupo?” fece Marco enfatizzando all’eccesso il tono sorpreso. “Ma non hai paura dei lupi? Sono cani grandi…”
Ancora quella piccola fronte aggrottata ed il ghigno sornione del padre. “Davide dai, smetti di fare quella faccia. Marco non ti sta prendendo in giro, lui non sa che Alberto è ancora un cucciolo. Avrà sei, sette mesi…” puntualizzò.
“È piccolo” precisò Davide.
“E poi, dopo il parco-giochi, dove siamo stati?”
“A prendere il gelato…”
“Allora non è solo lo zio Marco a farti mangiare i dolci fuori pasto…” disse Marco, guardando Andrea con un sopracciglio alzato.
“Siamo stati al centro commerciale a comprare un paio di ciabattine. Cominciava a fare troppo caldo per stare all’aperto. E allora gli ho preso anche un gelato. Qualcosa in contrario?” replicò Andrea con un vago accento di sfida. “Davide, che ne dici di far vedere a Marco la tua cameretta? Marco non l’ha mai vista…”
Il bambino restò immobile qualche secondo, corrucciato e meditabondo, ma alla fine decise di concedere all’amico di papà una visita guidata della sua stanza. Si voltò per avanzare spedito verso la sua camera, chinandosi un istante lungo il tragitto per raccogliere una pallina che si ritrovò tra i piedi e doveva essere rimessa a posto nella cesta dei giocattoli.
Andrea fece cenno a Marco di seguire il piccolo.
“Come ti pare che stia andando…?” chiese Marco sottovoce.
“Guarda che non è mica un esame” gli rispose Andrea.
“Lo so. Ma credi che gli sia simpatico…?”
“Ti detesta” disse Andrea, per poi seguire Davide nella sua stanza, ma si voltò per guardare Marco che non accennava a muoversi, impietrito, e scoppiò a ridere.
“Sei un cretino…” sussurrò Marco.
Per questo stiamo bene insieme: perché siamo uguali.

L'episodio 1.
L'episodio 19.