mercoledì 8 agosto 2012

18. Di Marco e di quella volta che conobbe Davide

“Pronto…?”
“Ehi, pronto” rispose Andrea. “Che fai?”
“Niente, stavo per uscire…” replicò Marco. “Non mi aspettavo una tua chiamata oggi che è il sabato di Davide…”
“Il bello è questo: adesso che sai tutto, posso chiamarti senza aver paura che tu senta la voce di Davide in sottofondo…”
“La contropartita è che io ho la mano sulla bocca di Tommaso per tenerlo zitto…”
“Chi?” chiese Andrea.
“Non provare a fare lo gnorri. Sai esattamente di chi sto parlando…”
“So chi è Tommaso. Ma non mi aspettavo questa punzecchiatura…”
Punzecchiatura?” fece Marco. “Altro che punzecchiatura: non sai il morso che mi sta dando… E non sai che morsi mi stava dando prima che chiamassi. E dove…”
“Sei un cretino…”
“Per questo stiamo bene insieme: perché siamo uguali.”
“Noi abbiamo appena finito di pranzare. Perché non ci raggiungi, me e Davide?”
Marco fu colto completamente alla sprovvista da quella domanda. “Non… Beh, perché non me l’hai chiesto ieri? Mi sarei procurato qualcosa da portare a Davide…”
“Perché non volevo che cercassi di arruffianartelo con qualche regalo. O che ti preparassi qualche storiella da raccontargli.”
“Sì ma se, senza regali, non gli piacessi…?”
“Sarebbe terribile…” sentenziò Andrea con enfatica gravità.
Fu così che Marco, tesissimo, mezz’ora più tardi si ritrovò a suonare il campanello di casa di Andrea. Un paio di minuti dopo, finalmente, la porta si aprì, ed un nanetto con i capelli neri e gli stessi occhi di Andrea si affacciò con aria curiosa.
Marco si piegò sulle ginocchia ed articolò un paio di vocali che restarono mute, prima di riuscire a scandire un ciao e a mostrare il suo sorriso migliore.
Davide restò in silenzio, timido di fronte allo sconosciuto, ma senza smettere di osservarlo con un’espressione a metà tra l’interrogativa e la corrucciata. Forse non si aspettava di aprire la porta a qualcuno che non conosceva.
“Ciao” ripeté. “Io mi chiamo Marco. E tu sei Davide?”
Niente, il bambino non proferiva verbo e non cambiava espressione.
Andrea apparve alle spalle di Davide, prendendoselo in braccio. Era rimasto qualche passo indietro a godersi la scena. “Ehi, ma è il mio amico Marco. Ti ricordi che ti avevo detto che sarebbe venuto a trovarci il mio amico Marco? Dai Davide, saluta Marco.”
Il bambino disse finalmente ciao e subito dopo si strinse al padre, la sua rosea e paffuta guancia contro quella ispida di barba del genitore. Sarebbe stata un’ottima foto da incorniciare: insieme, in quella posa tanto spontanea, ispiravano sincera tenerezza.
Marco si frugò rapidamente nella tracolla. “Ti va una caramella, Davide?” domandò, porgendogli una caramellina al mou.
Davide cacciò subito fuori la manina aperta, guardò qualche istante il dono che gli era stato porto, poi scartò la caramella e l’infilò in bocca, concedendo finalmente all’ospite il suo primo sorriso.
“Non avevamo detto: niente regali ruffiani…?” fece Andrea scostandosi per lasciare entrare Marco in casa.
“Davide, se ti piacciono, ne ho tante altre…” replicò Marco, senza badare al padre saccente.
“Mi piacciono” confermò il bambino.
“Guarda che non è un cagnolino cui si rifila lo zuccherino per farsi fare le feste…” tornò alla carica Andrea, poggiando il figlio a terra.
“Davide, tuo papà è terribilmente noioso…” disse Marco.
“La mamma è più noiosa” rispose il bambino.
Andrea accennò un rapido e furtivo gesto dell’ombrello. “Credo che l’ometto intenda dire che, se ci fosse la mamma al posto del papà, lei non gli lascerebbe mangiare caramelle dieci minuti dopo che ci siamo lavati i denti…”
“Basta non dirlo alla mamma” sentenziò Marco; poi, rivolto al piccolo: “Vero che non lo diciamo alla mamma, Davide?”
Mentre il bambino non dava alcun cenno d’intesa, Andrea ghignò. “Ecco bravo. Così siamo tutti sicuri che la prima cosa che dirà alla mamma quando la vede è che lo zio Marco l’ha riempito di caramelle e che s'è raccomandato di non dirle niente…”
Marco guardò Andrea con lo sguardo agghiacciato di chi avrebbe voluto strapparsi la lingua a morsi.
Andrea se la rise ancora. “Non è mica la fine del mondo, vero Davide?”
Alla richiesta di complicità formulata dal padre, il piccolo assentì con decisione, poi prese a fissare Marco.
Marco s’inginocchiò. “Allora Davide, cosa mi racconti?”
Andrea intervenne subito. “Guarda che sta aspettando la caramella che gli hai promesso…”
Marco estrasse dalla tracolla l’intero pacchetto per porgerlo al bambino, ma il padre fu più lesto e glielo prese di mano. “Solo un’altra caramella, per adesso” sgridò entrambi. “Questo pacchetto lo prendo in consegna io”.
“Sei noioso” gli rispose Davide.
“Ah sì, sono noioso? Allora questa è proprio l’ultima caramella che avrai, oggi” replicò Andrea, che subito dopo guardò Marco con un’occhiataccia per dargli ad intendere che era tutta e solo colpa sua se era stato appena degradato da padre perfetto.
“Beh dai… Papà non è poi tanto noioso, vero Davide? Scommetto che insieme vi divertite un casino…”
“Ehm, non so se casino sia una parola lecita da pronunciare davanti ad un bambino di quattro anni” disse a mezza voce Andrea, che si stava effettivamente divertendo un casino a prendere in giro Marco per quel suo modo di rapportarsi al piccolo. “Dai Davide, racconta a Marco cos’abbiamo fatto stamattina.”
“Siamo stati al parco-giochi e abbiamo giocato con Alberto…”
“Chi è Alberto? Un tuo compagno d’asilo…?” domandò Marco.
Davide si esibì di nuovo nella sua espressione corrucciata.
Andrea rise guardando il figlio. “Davide, non fare così. Marco non sa chi è Alberto. Spiegaglielo…”
“Alberto è un lupo…”
“È il cane lupo della signora del primo piano” spiegò Andrea.
“Un lupo?” fece Marco enfatizzando all’eccesso il tono sorpreso. “Ma non hai paura dei lupi? Sono cani grandi…”
Ancora quella piccola fronte aggrottata ed il ghigno sornione del padre. “Davide dai, smetti di fare quella faccia. Marco non ti sta prendendo in giro, lui non sa che Alberto è ancora un cucciolo. Avrà sei, sette mesi…” puntualizzò.
“È piccolo” precisò Davide.
“E poi, dopo il parco-giochi, dove siamo stati?”
“A prendere il gelato…”
“Allora non è solo lo zio Marco a farti mangiare i dolci fuori pasto…” disse Marco, guardando Andrea con un sopracciglio alzato.
“Siamo stati al centro commerciale a comprare un paio di ciabattine. Cominciava a fare troppo caldo per stare all’aperto. E allora gli ho preso anche un gelato. Qualcosa in contrario?” replicò Andrea con un vago accento di sfida. “Davide, che ne dici di far vedere a Marco la tua cameretta? Marco non l’ha mai vista…”
Il bambino restò immobile qualche secondo, corrucciato e meditabondo, ma alla fine decise di concedere all’amico di papà una visita guidata della sua stanza. Si voltò per avanzare spedito verso la sua camera, chinandosi un istante lungo il tragitto per raccogliere una pallina che si ritrovò tra i piedi e doveva essere rimessa a posto nella cesta dei giocattoli.
Andrea fece cenno a Marco di seguire il piccolo.
“Come ti pare che stia andando…?” chiese Marco sottovoce.
“Guarda che non è mica un esame” gli rispose Andrea.
“Lo so. Ma credi che gli sia simpatico…?”
“Ti detesta” disse Andrea, per poi seguire Davide nella sua stanza, ma si voltò per guardare Marco che non accennava a muoversi, impietrito, e scoppiò a ridere.
“Sei un cretino…” sussurrò Marco.
Per questo stiamo bene insieme: perché siamo uguali.

L'episodio 1.
L'episodio 19.

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