mercoledì 30 gennaio 2013

Backup

Archiviato almeno temporaneamente 21 di Adele, da qualche settimana nella mia autoradio gira senza sosta Backup, l'ultimo best of di Jovanotti. Due riflessioni a riguardo.

  1. Se Dio esiste, allora un motivo per rendergli lode è la creazione di Francesca Valiani, moglie e musa di Lorenzo, che se non avesse incrociato la sua strada difficilmente avrebbe potuto comporre le meravigliose canzoni d'amore che ha scritto (cito A te, Mezzogiorno, Dove ho visto te, Un raggio di sole), ragione primaria delle lacrime che mi hanno solcato ininterrottamente le guance stasera per tutto il tragitto Verona-Lago e Lago-Verona...
  2. Anche le canzoni più vecchie, quelle firmate con Cecchetto (cito Gimme five e La mia moto), seppure non godano del mio apprezzamento artistico, hanno tuttavia per me una precisa ragion d'essere: riascoltarle, dopo tutti gli anni in cui avevano giaciuto dimenticate in fondo alla mia memoria, mi ha fatto tornare con il pensiero agli anni delle scuole medie. Un ricordo in particolare: una gita in autobus per non so neanche più quale meta, durante la quale l'insegnante di inglese, poco più alla mano del solito, discettò su Jovanotti vs Francesco Salvi (Vasco vs C'è da spostare una macchina, i due tormentoni di quell'anno) profetizzando l'imminente scomparsa del primo dalle scene musicali ed il glorioso futuro del secondo, ragionando della totale assenza di contenuti dell'imberbe Lorenzo e del furbo umorismo del più maturo Salvi. Ora, con tutta la stima che si deve al simpatico Francesco, sappiamo tutti chi tra i due ha sfondato, e sfondato alla grande... L'insegnante d'inglese era una che parlava tanto ma ascoltava poco; durante le sue lezioni capitava spesso che dovessimo chiudere i libri sulle avventure di Lucy e Dave per ascoltare un suo monologo su argomenti che spaziavano dall'attualità della fine degli anni Ottanta alla musica. Poi ogni tanto ci scappava l'invettiva contro un collega, oppure assai spesso il cazziatone verso uno dei suoi studenti. Ed io, lo ricordo, ero tra i suoi obiettivi preferiti. Perché parlavo sempre con un filo di voce quando invece avrei dovuto ripetere a gran voce Hi Lucy, how are you Lucy? Perché non rispondevo mai alle provocazioni, non mi difendevo dai bulletti. Perché ero un perdente per vocazione. Perché non mostravo alcun interesse verso le ragazzine e pareva quasi avessi l'invidia della patatina (occhei, non credo abbia mai usato quest'espressione, ma il senso doveva essere quello...). La cosa strana, su cui riflettevo in macchina mentre Jovanotti chiedeva il cinque, è che non associo alcun imbarazzo a quelle volte in cui ero stato l'obiettivo di una sua sfuriata: in parte perché -pensavo allora- voleva dire che non passavo comunque inosservato, e ciò per qualche perverso guazzabuglio mentale mi faceva sentire importante; in parte perché per tutta la mia adolescenza ed oltre, ho subìto -e sottolineo subìto- il fascino della cattiveria, dato che associavo inconsciamente una lingua velenosa all'acume cerebrale. Davvero, così: per parecchio tempo sono stato convinto che chi sapesse sparare la pallottola avvelenata al momento giusto dovesse essere un vincente. Io ero un buono, un fesso, uno che non aveva mai una battuta cattiva pronta; la mia insegnante d'inglese invece era una vipera, una che sapeva sputare il proprio veleno ed usciva vittoriosa dagli scontri. E mi rendo conto che molte delle persone per cui ho provato ammirazione nel corso degli anni ripetevano quel modello. I bulletti al liceo, certe stronze in tivù, i vari Sgarbi, mia zia l'Orchessa... pure mia sorella e le sue amiche streghe. E sì, anche Ian, alla fine. Ed io mi lasciavo sopraffare, ammaliato. E poi finalmente ho imparato anch'io ad essere cattivo, che non serviva poi chissà quale predisposizione, nessuna arte. Ho capito che la cattiveria non è quasi mai una dimostrazione di intelligenza; al contrario, spesso serve a celare una becera stupidità. Ed i maestri perfidi che una volta mi incantavano ora mi danno solo noia. Compresa quella cretina della mia insegnante d'inglese che non ha mai saputo azzeccare un pronostico.

mercoledì 16 gennaio 2013

Pensieri vanno e vengono, la vita è così

Non riesco a decidere se sto così male perché ho smesso di confidare le mie angosce al blog, oppure se ho smesso di confidarmi nel blog perché sto così male. Ma tutto sommato credo che le due cose procedano di pari passo. Probabilmente l'una cosa influisce sull'altra e viceversa.
Il fatto è che, se il 2012 è terminato male per via delle tante malinconie cui accennavo un paio di post fa, il 2013 è cominciato ancora peggio. Ho i nervi a fior di pelle: imbarazzanti scenate isteriche sul lavoro che cerco pietosamente di camuffare nelle sceneggiate di una drama queen; eccessivo trasporto davanti al televisore, tanto che mi sono commosso pure all'ennesima visione di Cars (Cars!?!); serate chiuso in casa ad ascoltare vecchie tristi canzoni; esasperato mutismo con gli amici alternato a sproloqui senza capo né coda, con la prevedibile conseguenza che anche il telefono resta muto ed inanimato per giorni...
E se sono al computer adesso è perché, quando ho spento tutte le luci e ho tentato di addormentarmi, per la seconda notte consecutiva sono scoppiato a piangere. E a memoria non mi capitava di piangere per davvero, con lacrimoni così veri, almeno da due appartamenti fa...
Son venuto al computer ma non mi sento proprio di spiegare perché sto così. Sono venuto al computer solo perché a margine della mia angoscia c'è anche la sensazione di dispetto nei confronti dei tanti ex-frequentatori di questo blog che per una ragione o per un'altra sono via via spariti da questa porzione di blogosfera. Non voglio nascondere più il dispetto, l'urto ai nervi che mi dà constatare quanto poco interessi avere mie notizie a persone con cui ho condiviso uno o più pomeriggi di chiacchiere o un pranzo o una cena... Io sono ancora qui, dannazione. E per quante cose loro abbiano da fare adesso, per quante novità siano arrivate nelle loro vite, trovo inscusabile che non riescano a trovare un minuto ogni tanto per volgere uno sguardo qui, per domandarsi come sto. In fondo è questo il tarlo che pian piano s'è mangiato tutta la mia voglia di continuare a scrivere qui: la sensazione di essere rimasto solo nello spazio ristretto di un blog. Ecco, l'ho scritto finalmente; finora mi ero trattenuto perché l'idea che qualcuno lo leggesse m'imbarazzava, ma tanto nessuno dei destinatari del messaggio lo leggerà e così intanto mi tolgo il peso.
Dovrei fregarmene e riprendere a scrivere solo per me stesso, com'era all'inizio, quattro anni fa.
Ma non riesco a smettere di pensarci ogni volta che torno alla homepage del blog. Probabilmente perché è anche un po' la metafora di tutti i miei rapporti personali: io sono sempre l'ultimo che se ne va, sono sempre quello che non trova il motivo per andarsene prima, che resta pure per pulire le stanze rimaste vuote ed in disordine. Non riesco a rendermi conto che la festa ormai è agli sgoccioli e che quelli che si dicevano miei amici se ne sono già andati senza nemmeno l'educazione di salutare.
Micol, Sally, Lady. E prima ancora Lalla e MisterGi. Ed alla fine anche Ian se n'è andato, nello stesso identico modo. Spariti tutti senza dare mai una spiegazione, semplicemente perché la vita va avanti e li porta via, troppo lontani per sentirmi urlare "Aspettatemi, dannazione. Io sono ancora qui. Io per voi ci sono. Perché cavolo non potere esserci voi per me?"

lunedì 14 gennaio 2013

Dammi una lametta

Nonostante quello che molti pensano di me -molti tra coloro che non mi conoscono davvero- raramente mi lascio andare alla malinconia; raramente sono vittima della noia e dell'inerzia. Davvero raramente.
Solo che quelle volte che mi prende male, come stasera, allora mi prende male davvero davvero tanto.
Penso che dovrei ricominciare a scrivere, per veicolare e mettere a frutto tutti questi grovigli che ho per la testa. Ma quanto è difficile trovare un capo del filo.

martedì 1 gennaio 2013

Dove sono stato, con i miei post

Infine ci siamo. Siamo arrivati all'anno nuovo, siamo stati traghettati oltre le feste.
Ce l'abbiamo fatta, in barba ai Maya.
Ce l'ho fatta io, in barba alle mie malinconie, allo scoramento per il tempo che passa e non torna.
Eppure a me piace l'inverno: piacciono le basse temperature, mi fa impazzire la neve, non ho problemi con le giornate corte anche se spesso mi levano la voglia di uscire in strada e sono una scusante per restarmene chiuso in casa, dove comunque, anche se spesso sono solo e mi isolo dal resto del mondo, trovo sempre qualcosa da fare e che mi riempia le serate...
Eppure, da metà novembre fino a Capodanno sono stato sopraffatto, quest'anno in maniera particolare, dalle malinconie da anniversario, dai rimpianti celebrativi.
Un compleanno importante, il trentacinquesimo, che trovo particolarmente significativo: un po' perché a trentacinque anni non c'è verso che qualcuno possa ancora considerarmi un ragazzo ed io non riesco ancora a considerarmi come un uomo maturo; un po' perché fin da quando ero adolescente mi ero fissato in testa che a trentacinque anni sarei stato felice ed appagato perché avrei avuto questo e quello e quell'altro ed invece non ho ancora ottenuto nulla di quello che avevo sognato.
Subito dopo è occorso il decimo anniversario del mio primo (e per ora unico) fidanzamento. Nulla di bello da celebrare, e probabilmente questa è la cosa che pizzica di più gli occhi. Questa assoluta vacuità nel ricordare un incontro che, se davvero ha segnato la mia vita, l'ha fatto solo in negativo: portandomi a rifuggire dagli affetti ancor più lesto di quanto non vi fossi portato per indole; sottraendomi al sogno romantico che due persone possono comprendersi intimamente, stare bene insieme per sempre, condividere una vita intera; spingendomi ad innalzare barricate impenetrabili tra il mio cuore ed un estraneo per quanto belli possano essere i suoi occhi, divertenti le sue battute, dolci le sue parole.
E poi via, una dopo l'altra, Santa Lucia, il Natale, Capodanno, feste che ricordano e rinnovano rimpianti per il bambino colmo d'amore che non sono stato e per la famiglia colma d'amore che non ho avuto.
Fanculo.
È passata.
Sono qui. Grazie a quanti hanno avuto la bontà di aspettarmi. Ma incrociate le dita per me, perché tra dodici mesi non abbia a ripetere questa manfrina.