venerdì 11 settembre 2009

Zibaldone israelita

Ad Haifa, la “Città bella”, ho lasciato un pezzetto di cuore e la promessa di tornare. La città, la terza di Israele per numero di abitanti, importante scalo portuale e centro industriale, è dominata dall'estrema propaggine della lunga cresta del monte Carmelo (Karm’El, il “giardino di Dio”) e si sviluppa tutta in lunghezza ed altezza, schiacciata tra il mare ed il monte le cui pendici risale.
Ho trascorso una notte in un ostello sul Carmelo, accanto alla chiesa che sorge sulla grotta dove dimorò Elia, gestito da tre simpatiche suore provenienti da tre diversi continenti: dal terrazzo sopra l’ostello, in una notte di plenilunio spazzata dalla brezza del mare che si frangeva contro il massiccio del monte, ho dominato la città delle mille luci e dei cento giardini, ed il mio sguardo ha spaziato fino alle coste del Libano, lì da dove provenivano i razzi che qualche tempo fa illuminavano le stesse notti, spaventando Haifa e le stesse suorine.

Non lontano da Haifa, c’è la spiaggia di Cesarea Marittima: l’antica capitale fondata da Erode, che era ispirato dalla bellezza e dall'architettura di Roma, è oggi solo un sito archeologico, attorno cui gli israeliani hanno messo in piedi residence di discreto lusso e lussureggianti piantagioni di datteri e banane. Quel che resta dell’antico acquedotto, che dal Carmelo vi portava l'acqua, fa da cornice alla sabbia fina e calda su cui mi sono lasciato stordire dallo sciabordio del mare: ho ancora nelle narici e sulla pelle l’odore salmastro.

Come e più di Haifa, Gerusalemme è una città verticale: nella mia immaginazione era una fortezza circondata dal deserto come un’oasi, perciò facile preda dei tanti invasori che ne hanno cambiato più volte la storia; ho scoperto invece che, in un inutile tentativo di arroccarsi, s’è sviluppata in cima a diverse alture, per dominare le tante verdi vallate che la dividono e la uniscono allo stesso tempo. In Gerusalemme non ci sono strade in piano, ma solo salite e discese più o meno ripide. Un dedalo di strade e d’incroci, trafficati ed intasati dall’alba alla tardissima sera, e se sbagli una svolta rischi di non recuperare la giusta direzione prima di essere sceso a valle e poi essere risalito.

Dentro le mura, nascosta dietro le grandiose porte, la Gerusalemme vecchia è ancor più caotica. Chiese, moschee, sinagoghe, cupole, campanili, minareti, ed il frammezzarsi di diverse strutture architettoniche rispecchia la commistione di razze, lingue e fedi che fanno della “Casa della Luce” il cuore pulsante del mondo. Ebrei, musulmani e cristiani di tutti gli scismi cercano di convivere mescolandosi però il meno possibile.

Il quartiere cristiano è caratterizzato dai vicoli lunghi e stretti del mercato: il venditore d’incenso, il macellaio, il fornaio, lo spremitore di melograni fianco a fianco con chi vende piccoli gioielli che crea al momento e con chi stampa a caldo magliette che inneggiano alla pace tra Israele e Palestina. I cristiani di Gerusalemme hanno tutti lineamenti arabeggianti: sostengono di discendere dai primissimi cristiani, quei giudei e quei pagani che videro il Cristo e ne furono convertiti alla fede. Sono belli a vedersi, mori e bruni; splendidi quei pochi dagli occhi chiari. I venditori conoscono tutti qualche parola nelle diverse lingue dei turisti; la maggior parte di loro intende bene l’italiano e si fa facilmente intendere, ma non si perdono in chiacchiere: vogliono vendere e l’unico modo per rapportarsi con loro è trattare sul prezzo delle loro merci.

Anche gli ebrei sono mediamente piacevoli d'aspetto, perlomeno quelli di origine europea e che non si mortificano negli abiti neri degli ortodossi che somigliano tanto a quelli dei mormoni. E m'è parso che l'israeliano medio abbia una certa cultura della bellezza maschia: volti maschili e corpi piacevolemte virili, che più d'una volta m'hanno fatto voltare lo sguardo, tappezzano i muri dei moderni centri commerciali e le pareti di interi palazzi per sponsorizzare prodotti ed avvenimenti come qui nella maschia Italia succede molto di rado.

Nonostante il deserto in Israele circondi tutto, trovandosi piuttosto in alto, Gerusalemme ha un clima facilmente sopportabile: il sole è cocente, ma frequenti folate di vento asciugano il sudore. Nei quattro giorni che vi ho fatto sosta ho avvertito il cambiamento del clima con l'arrivo imminente dell'autunno: nelle notti illuminate a festa per il ramadan, affacciarsi ad una terrazza significava, anche lì in pieno deserto, essere investito dal vento d'un freddo quasi pungente.

Betlemme, che diede i natali a Re David prima ancora che al Cristo, è letteralmente ad un tiro di scoppio da Gerusalemme: farebbe parte del suo agglomerato urbano se tra le due città non corresse il muro che separa Israele dai territori sotto il controllo dell’Autorità Palestinese. Su quello stesso muro, a pochi metri dal posto di blocco israeliano, campeggia un grande cartellone che recita “Gerusalemme e Betlemme, città dell’Amore e della Pace”: l'ho letto quasi come una beffa quando sono arrivato al posto di blocco e sono venuto a sapere che i Palestinesi di Betlemme non hanno il permesso di oltrepassarlo, ed i più giovani di loro, quelli che vivono in case basse a ridosso del muro, Gerusalemme non l’hanno mai vista. E sul loro lato del muro, mani occidentali in segno di protesta hanno disegnato le mostruose facce dei perfidi israeliani che li tengono segregati.

Anche Betania, il villaggio di Marta e Maria che oggi si chiama Azariya in ricordo di Lazzaro, è in territorio palestinese, a ridosso del muro: oggi è un quartiere degradato, quasi una bidonville; sull’altura di fronte, dalla parte sbagliata del muro, sorge uno dei tanti insediamenti ebrei in Palestina, bello pulito ed ordinato, l’ennesima beffa del più forte contro chi è costretto a piegare la testa. Finché non ho visto con questi occhi l’arroganza di Israele, non ho mai capito fino in fondo l’odio del mondo arabo nei suoi confronti: ora non lo condivido affatto, ma posso almeno comprenderlo.

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