domenica 16 settembre 2012

20. Di Marco e di tutte quelle volte (La formula magica)

La volta che Andrea convinse Marco a trascorrere una domenica in bicicletta sulle colline e scoppiò un temporale che li costrinse a trascorrere tre ore bagnati fradici sotto un cavalcavia.
La volta che parteciparono insieme ad una serata-karaoke e duettarono in una canzone di Pacifico e Malika Ayane, e quando tornarono al loro tavolo trovarono Carlotta in lacrime.
La volta che Davide sfidò Marco ad una partita di pallone ed il bambino gli piantò il muso perché lo spilungone era un portiere troppo forte per i suoi rigori.
La prima volta che Davide si addormentò in braccio a Marco.
La volta che Linda, la madre di Davide, invitò Marco a cena, loro due soli, e per tutta la serata Marco ebbe la sensazione che Linda si chiedesse che cosa trovasse Andrea in lui che non aveva trovato in lei, ma mentre mangiavano il dessert aveva fatto una battuta atroce ed allora avevano cominciato entrambi a ridere di cuore, tanto che alla fine Linda l’aveva salutato con un sorriso ed un abbraccio tali che lui aveva capito di aver guadagnato un’amica.
La volta che Marco ed Andrea erano stati interrotti da una telefonata perché la madre di Andrea era caduta dalle scale di casa e, mentre raggiungevano l’ospedale che ancora non conoscevano la diagnosi, Marco vide per la prima volta Andrea piangere.
La volta che il padre di Andrea s’era presentato a sorpresa a casa di Marco perché l’aveva sentito dire che aveva il citofono guasto e gliel’aveva aggiustato, poi s’era fermato fino a tarda sera a parlare con lui.
La volta che portarono Davide sulla seggiovia che collega il lago alla montagna, ed il bambino che correva, occhioni spalancati, da una parte all’altra della cabina per vedere il lago che rimpiccioliva e la montagna che ingigantiva.
La volta che Marco aveva sentito in radio la voce di Andrea che aveva chiamato per dedicargli una canzone.
La volta del loro primo weekend romantico in laguna e la loro prima volta insieme alle terme.
E poi ci fu quella volta che Andrea gli chiese di andare a vivere con lui, un mercoledì sera che avevano trascorso insieme in casa di Andrea e che sembrava essere sul punto di concludersi senz’infamia e senza lode: Marco s’era addormentato sul divano, con la testa in grembo ad Andrea, che invece aveva provato a seguire il pilot di un nuovo telefilm, senza troppo successo perché quella sera aveva un solo chiodo fisso.
Si chinò sul faccino di Marco, gli passò un dito sulle labbra schiuse, lo baciò lieve sulla fronte ed all’orecchio gli sussurrò: “È ora di svegliarsi, Biancaneve…”
“Che ore sono?” domandò Marco senza muoversi e senza nemmeno aprire gli occhi.
“È ora che tu ti levi e che io mi alzi dal divano, perché non sento più circolazione dalla vita in giù…”
Marco si tirò su a sedere e, tastandosi con il dorso della mano l’angolo della bocca, chiese: “Ti ho sbavato addosso?”
Andrea sorrise e gli fece cenno di no. Poi si issò in piedi e spense il televisore. “Non hai sbavato e non hai nemmeno russato, neanche un poco. Quando dormi sembri una creatura angelica… Poi purtroppo ti svegli…”
“Fosse stato per me, avrei continuato a dormire” rispose Marco stiracchiandosi, poi guardò l’orologio. “Tra l’altro è ancora presto. Vuoi già mandarmi a casa…?”
“No. È solo che stavo pensando ad una cosa…”
“Oh no, un’altra rivelazione? Credevo di sapere tutto ormai. Che c’è, hai un fratello gemello nascosto da qualche parte? Hai scoperto di essere stato scambiato alla nascita e di essere uno dei figli dei Pooh…?”
“Te l’ho già detto che quando dormi sembri un angelo…?”
Marco rise. “Sì. Ma adesso sono sveglio. E ci siamo già passati: diventi insopportabile quando hai qualcosa che ti costa dire. È meglio se la dici subito e se ti levi il pensiero.”
Andrea tornò a sedersi sul divano, faccia a faccia con Marco. “Non è un segreto. Si tratta di una cosa che ho pensato e vorrei che ne parlassimo…”
Marco gli fece cenno di continuare con il capo.
“Pensavo che potresti trasferirti qui. Portare qui tutte le tue cose, risparmiarti i soldi dell’affitto e passare insieme a me più tempo di quanto riusciamo a passarne adesso.”
Il sorriso di Marco si spense. “Non ne avevamo mai parlato…”
“È il caso di cominciare a farlo, non trovi?”
“E se qualcosa va storto?” chiese Marco.
“Di cosa parli…?”
“Se tra noi non funzionasse…?”
“Io credo che funzionerà” rispose Andrea. “Ma credevo anche che l’idea di venire a vivere da me ti avrebbe entusiasmato, e pare invece che sbagliassi…”
Marco non rispose.
Andrea, contrariato, si alzò ed andò in cucina per prendere dal frigo una birra.
“Io lo voglio” disse Marco a voce alta, dal salotto.
“Che cosa vuoi?” domandò Andrea, riaffacciandosi sull’altra stanza con la bottiglia di birra in mano.
“Voglio passare il resto della mia vita con te…” gli rispose Marco.
“Ma…?” Andrea sentiva che doveva esserci un ma.
“Ma non so cosa vuoi tu…”
“Di cosa stiamo parlando? Io ti ho chiesto di venire a vivere qui nel mio appartamento. Divideremo il letto, il divano ed il bagno. Sacrificherò spazio per te nell’armadio e nel frigo. E così potremo dormire insieme tutte le notti e svegliarci nello stesso letto tutte le mattine. E sono quasi del tutto convinto che questo ci renderà entrambi felici.”
“Per quanto tempo?” chiese Marco.
“Ma perché hai questa fottuta paura che finisca? Perché non vuoi ammettere che adesso insieme stiamo bene e che potrebbe continuare ad andarci bene per parecchio tempo ancora, magari anche per sempre…?”
“Credi davvero che potrebbe essere per sempre?”
“Non ho una bacchetta magica, non posso sapere con certezza se sarà per sempre” rispose Andrea.
“Voglio solo sapere se tu ci credi” disse Marco.
Si guardarono qualche istante, poi Andrea capì cosa realmente voleva Marco.
Tornò in cucina, prese dal frigo una seconda birra e l’aprì. Tornò a sedersi sul divano, accanto a Marco e gli porse da bere.
“Finora è stato tutto molto semplice, ti è venuto tutto naturale” disse Marco. “Ti è venuto naturale attaccare bottone quella volta in libreria. Ti è venuto naturale baciarmi quella volta al concerto e quella sera stessa ti è venuto naturale salire da me a far l’amore. Ti è venuto tutto facile, perché sei così: fai le cose per istinto e non riesci a farle se ti senti costretto. Fare il padre ti viene facile e naturale; fare il marito sarebbe stata una costrizione e ti sei rifiutato…”
Prese la parola Andrea. “Ti ho chiesto io di venire a vivere qui, e l’ho fatto perché credo sia una naturale evoluzione del nostro rapporto. Il nostro è il primo legame in vita mia che non mi spaventa. Tu sei la prima persona con cui mi viene facile e naturale stare insieme. Ed io so perché mi succede di sentirmi così con te. E so anche che è quello che vuoi che ti dica prima di accettare…”
“Sei sicuro che accetterò di trasferirmi qui?” chiese Marco, con un sorriso lievemente beffardo.
“Ne sono sicuro, perché so che sei innamorato di me. Ed ho capito cosa ti trattiene...”
“Ho bisogno che tu lo dica. Che tu dica che c’è qualcosa che ci tiene insieme, che non lo fai solo perché ti viene facile.”
“Non te l’ho ancora detto, in effetti” convenne Andrea, prendendogli di mano la birra e poggiando entrambe le bottigliette a terra. “Non l’ho detto perché finora non volevo ammetterlo nemmeno a me stesso…” spiegò mettendosi in ginocchio, davanti a Marco. “Ma è ora di farlo, vero?”
Andrea prese le mani di Marco tra le proprie, si schiarì la voce, sorrise. Guardò Marco negli occhi e nell’istante in cui gli vide spuntare un luccicone tra le ciglia, ritrovò la voce e pronunciò la formula magica che avrebbe dissipato tutti i dubbi, cancellato ogni timore, risolto qualsiasi problema, costretto il sole a splendere anche di notte, il vento a placarsi ed il diluvio a cessare. Le parole su cui avrebbero costruito insieme il loro futuro.
Disse: “Ti amo.”

Il 1° episodio.

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