lunedì 23 luglio 2012

16. Di Marco e di un piatto di pennette alla cubana

Andrea aveva scelto di cucinare per Marco un piatto che gli riusciva senza troppa fatica, ma anche il piatto che più aveva ricevuto apprezzamenti nella cerchia dei suoi amici: le pennette alla cubana. La pasta era perfettamente al dente ed il sugo, con i funghi ed i dadini di prosciutto, era piccante quanto bastava.
Seduti al piccolo tavolo in cucina, l’uno di fronte all’altro, in qualsiasi altra occasione sarebbe stato un piacere per Andrea osservare la voracità con cui Marco mangiava il piatto che gli aveva cucinato. E nonostante avesse una fame tale che gli tremavano le ginocchia, in qualsiasi altra occasione Marco non se ne sarebbe rimasto con il capo chino sul piatto, impegnato ad evitare lo sguardo del suo ospite.
“Hai fame…” constatò Andrea.
“Le pennette sono davvero buone… e poi ho saltato il pranzo…” ammise Marco, sollevando finalmente gli occhi.
Andrea era lì, seduto davanti a lui. Aveva mangiato solo un paio di forchettate di pasta e lo squadrava con i suoi occhi dolci. “Com’è che non hai pranzato? Troppo lavoro…”
Marco si bloccò qualche istante poi cacciò il rospo: “Nel caso te ne fossi dimenticato, mi hai invitato perché avevi una qualche comunicazione da farmi…”
“Sì, è vero… ma non volevo farti perdere l’appetito…”
“L’ho ritrovato” rispose Marco accennando al piatto quasi vuoto.
“Allora forse è il caso che ti dica quello che devo dirti…”
“Ecco. Ora, l’appetito l’ho perso di nuovo” replicò Marco. Più che altro la sua fu una battuta: non sentiva più alcun nodo allo stomaco; ogni preoccupazione era sparita nel momento esatto in cui Andrea gli aveva aperto la porta di casa e gli aveva sorriso. Questa era la grande magia di Andrea: che ogni pensiero si volatilizzava, ogni nube si diradava al suo cospetto.
“Ok, allora ti lascio finire la pasta. Sia mai che poi mi tocchi buttare via tutto…”
“Andre’, ma è una cosa tanto brutta quella che mi devi dire…?”
Andrea gli sorrise e gli fece cenno di no con il capo. “Non è affatto brutta. Ma te la devo dire. Per questo stamattina t’ho scritto l’sms: perché stasera tu mi obbligassi a dirtela. Non è giusto continuare a rimandare…”
“Sono pronto. Dimmi” lo incitò Marco.
Andrea fece un gran sospiro, si levò dalla tavola e, prendendo la mano del suo ragazzo, l’invitò a fare lo stesso e a seguirlo in soggiorno. Lo fece sedere sul divano, quindi prese dalla libreria una delle due cornici che avevano attratto l’attenzione di Marco, quella con il nipotino paffutello con il grembiulino dell’asilo, e gliela porse, dicendo: “Lui è Davide.”
Marco prese tra le mani la fotografia. “Il figlio di tua sorella…?”
“Davide è mio” spiegò Andrea.
Marco registrò l’informazione e, dopo averla sommariamente analizzata, con un tono di voce indispettito chiese: “Perché cavolo non me ne hai mai parlato prima…? Dovrebbe venire naturale parlare del proprio figlio, in una qualche conversazione… e non è che noi non abbiamo mai conversato, in questi due mesi. Perdio, non è che ci si può dimenticare di avere un figlio.”
Era esattamente la reazione che Andrea si aspettava, ma il bel discorso che si era preparato prima, in quella situazione e con Marco davanti, quello sì sembrava dimenticato. “Non lo so, Marco. Non sono riuscito a parlartene subito, a dirlo subito. Perché avevo paura. E più passava il tempo, più parlarne sembrava difficile…”
“Ma paura di cosa, Andrea? Non è una disgrazia, non è una malattia. Perché dovevi avere paura di parlarne…?”
“È solo un problema di fiducia” rispose Andrea.
Fiducia, Andrea? Non hai fiducia in me? Cosa pensavi? che avrei messo in discussione questo nostro rapporto quand’avessi saputo che avevi un figlio…?” chiese Marco.
“No Marco” disse, sedendo accanto a lui sul divano. “Non parlo della mia fiducia in te, ma della tua in me… Non ti ho parlato subito di Davide perché non ti conoscevo e ho pensato che dirti subito che avevo un figlio ti avrebbe fatto scappare, perché è quello che è successo con i due ragazzi che ho frequentato prima di te: quando ho detto loro che c’era Davide, nel giro di pochi giorni hanno deciso che io e Davide eravamo incompatibili con il loro stile di vita. A te non l’ho detto, perché tenevo davvero tanto a conoscerti e non volevo che ti dileguassi subito. Poi, quando ti ho conosciuto ed ho capito che a te tengo davvero tanto, molto più che a qualunque ragazzo cui abbia fatto la corte in passato, a quel punto… beh, a quel punto è subentrata la paura che tu potessi pensare che non mi fidassi abbastanza di te da dirti tutto subito. Capisci, Marco? Ho continuato a nasconderti Davide, non perché non mi fidassi di te, ma perché avevo paura che tu non ti saresti più fidato di me…”
“No Andrea, non ho capito” rispose Marco, “sembra un altro dei tuoi guazzabugli di parole…”. Si concentrò sulla fotografia che teneva in mano, sull’espressione spensierata di Davide, e gli parve una fedele riproduzione dell’espressione che Andrea sfoggiava quando stavano bene insieme. Quel bimbo gli infondeva un’indescrivibile tenerezza, gli faceva pensare a come dovesse essere stato il suo Andrea da bambino. E l’immagine di Andrea come un cucciolo d’uomo gli faceva venir meno ogni desiderio di litigare con l’Andrea adulto che aveva accanto.
“Non sto cercando di imbrogliarti con le parole. Voglio dire che…”
“Rispondi solo alle mie domande, adesso” lo interruppe Marco. “Queste foto: non stavano sulla libreria le altre volte che sono venuto qui, vero?”
“Le avevo nascoste in un cassetto. Avevo nascosto tutto e avevo chiuso a chiave la camera da letto di Davide.”
“La sua camera da letto? Perché? vive qui con te?”
“Ce l’ho a weekend alterni. Ed io e la madre ci alterniamo le festività… Ti eri accorto che sparivo un weekend sì ed un weekend no, vero?”
“Ma non ti ho mai fatto domande, perché mi sono sempre fidato di te, idiota…” puntualizzò Marco, prima di chiedere: “La madre di Davide è la ragazza nell’altra foto?”
“Si chiama Linda” rispose Andrea, prendendo e porgendogli la seconda cornice.
“Pensavo che fosse tua sorella… Di tua sorella mi hai parlato, e di tua madre, e dei tuoi amici… ma non mi hai presentato mai nessuno: per paura che non ti reggessero il gioco su Davide, vero?”
Andrea assentì con il capo.
“Questo è quasi un sollievo, perché cominciavo a temere che non mi presentassi ai tuoi amici perché ti vergognavi di me…” disse Marco.
“Avevo solo paura che qualcuno nominasse Davide anche solo incidentalmente… Ma insomma, com’è? Mi perdoni perché ho tenuto il segreto più di quanto fosse opportuno, oppure no?”
“No Andrea” gli rispose Marco. “Se vuoi farti perdonare, devi sforzarti e trovare qualcosa di meglio dei tuoi occhioni dolci per ben dispormi nei tuoi confronti.”
“Ho preso la torta-gelato…”
“La torta-gelato è una grande trovata… ma a quella ci dedichiamo dopo…”
Dopo che cosa?”
Seguirono rumori di zip, di bottoni sbottonati, qualche rantolo ed un sacco di fruscii sui cuscini del divano.

L'episodio 1.
L'episodio 17.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

AH!
Lo sapevo!

Federico

Edgar ha detto...

Eh Federico. Eravamo almeno in due a saperlo!