Andrea aveva scelto di cucinare per Marco un
piatto che gli riusciva senza troppa fatica, ma anche il piatto che più aveva
ricevuto apprezzamenti nella cerchia dei suoi amici: le pennette alla cubana.
La pasta era perfettamente al dente ed il sugo, con i funghi ed i dadini di prosciutto,
era piccante quanto bastava.
Seduti al piccolo tavolo in cucina, l’uno di
fronte all’altro, in qualsiasi altra occasione sarebbe stato un piacere per
Andrea osservare la voracità con cui Marco mangiava il piatto che gli aveva
cucinato. E nonostante avesse una fame tale che gli tremavano le ginocchia, in qualsiasi
altra occasione Marco non se ne sarebbe rimasto con il capo chino sul piatto,
impegnato ad evitare lo sguardo del suo ospite.
“Hai fame…” constatò Andrea.
“Le pennette sono davvero buone… e poi ho
saltato il pranzo…” ammise Marco, sollevando finalmente gli occhi.
Andrea era lì, seduto davanti a lui. Aveva mangiato
solo un paio di forchettate di pasta e lo squadrava con i suoi occhi dolci. “Com’è
che non hai pranzato? Troppo lavoro…”
Marco si bloccò qualche istante poi cacciò il
rospo: “Nel caso te ne fossi dimenticato, mi hai invitato perché avevi una
qualche comunicazione da farmi…”
“Sì, è vero… ma non volevo farti perdere l’appetito…”
“L’ho ritrovato” rispose Marco accennando al
piatto quasi vuoto.
“Allora forse è il caso che ti dica quello che
devo dirti…”
“Ecco. Ora, l’appetito l’ho perso di nuovo”
replicò Marco. Più che altro la sua fu una battuta: non sentiva più alcun nodo
allo stomaco; ogni preoccupazione era sparita nel momento esatto in cui Andrea
gli aveva aperto la porta di casa e gli aveva sorriso. Questa era la grande magia
di Andrea: che ogni pensiero si volatilizzava, ogni nube si diradava al suo
cospetto.
“Ok, allora ti lascio finire la pasta. Sia mai
che poi mi tocchi buttare via tutto…”
“Andre’, ma è una cosa tanto brutta quella che
mi devi dire…?”
Andrea gli sorrise e gli fece cenno di no con
il capo. “Non è affatto brutta. Ma te la devo dire. Per questo stamattina t’ho
scritto l’sms: perché stasera tu mi obbligassi a dirtela. Non è giusto continuare
a rimandare…”
“Sono pronto. Dimmi” lo incitò Marco.
Andrea fece un gran sospiro, si levò dalla
tavola e, prendendo la mano del suo ragazzo, l’invitò a fare lo stesso e a
seguirlo in soggiorno. Lo fece sedere sul divano, quindi prese dalla libreria
una delle due cornici che avevano attratto l’attenzione di Marco, quella con il
nipotino paffutello con il grembiulino dell’asilo, e gliela porse, dicendo: “Lui
è Davide.”
Marco prese tra le mani la fotografia. “Il
figlio di tua sorella…?”
“Davide è mio” spiegò Andrea.
Marco registrò l’informazione e, dopo averla
sommariamente analizzata, con un tono di voce indispettito chiese: “Perché cavolo
non me ne hai mai parlato prima…? Dovrebbe venire naturale parlare del proprio
figlio, in una qualche conversazione… e non è che noi non abbiamo mai
conversato, in questi due mesi. Perdio, non è che ci si può dimenticare di
avere un figlio.”
Era esattamente la reazione che Andrea si
aspettava, ma il bel discorso che si era preparato prima, in quella situazione
e con Marco davanti, quello sì sembrava dimenticato. “Non lo so, Marco. Non sono
riuscito a parlartene subito, a dirlo subito. Perché avevo paura. E più passava
il tempo, più parlarne sembrava difficile…”
“Ma paura
di cosa, Andrea? Non è una disgrazia, non è una malattia. Perché dovevi avere
paura di parlarne…?”
“È solo un problema di fiducia” rispose Andrea.
“Fiducia,
Andrea? Non hai fiducia in me? Cosa pensavi? che avrei messo in discussione questo
nostro rapporto quand’avessi saputo che avevi un figlio…?” chiese Marco.
“No Marco” disse, sedendo accanto a lui sul
divano. “Non parlo della mia fiducia
in te, ma della tua in me… Non ti ho
parlato subito di Davide perché non ti conoscevo e ho pensato che dirti subito
che avevo un figlio ti avrebbe fatto scappare, perché è quello che è successo
con i due ragazzi che ho frequentato prima di te: quando ho detto loro che c’era
Davide, nel giro di pochi giorni hanno deciso che io e Davide eravamo
incompatibili con il loro stile di vita. A te non l’ho detto, perché tenevo
davvero tanto a conoscerti e non volevo che ti dileguassi subito. Poi, quando
ti ho conosciuto ed ho capito che a te tengo davvero tanto, molto più che a
qualunque ragazzo cui abbia fatto la corte in passato, a quel punto… beh, a
quel punto è subentrata la paura che tu potessi pensare che non mi fidassi abbastanza
di te da dirti tutto subito. Capisci, Marco? Ho continuato a nasconderti
Davide, non perché non mi fidassi di te, ma perché avevo paura che tu non ti
saresti più fidato di me…”
“No Andrea, non ho capito” rispose Marco, “sembra
un altro dei tuoi guazzabugli di parole…”. Si concentrò sulla fotografia che
teneva in mano, sull’espressione spensierata di Davide, e gli parve una fedele
riproduzione dell’espressione che Andrea sfoggiava quando stavano bene insieme.
Quel bimbo gli infondeva un’indescrivibile tenerezza, gli faceva pensare a come
dovesse essere stato il suo Andrea da bambino. E l’immagine di Andrea come un cucciolo
d’uomo gli faceva venir meno ogni desiderio di litigare con l’Andrea adulto che
aveva accanto.
“Non sto cercando di imbrogliarti con le parole.
Voglio dire che…”
“Rispondi solo alle mie domande, adesso” lo
interruppe Marco. “Queste foto: non stavano sulla libreria le altre volte che
sono venuto qui, vero?”
“Le avevo nascoste in un cassetto. Avevo
nascosto tutto e avevo chiuso a chiave la camera da letto di Davide.”
“La sua camera da letto? Perché? vive qui con
te?”
“Ce l’ho a weekend alterni. Ed io e la madre ci
alterniamo le festività… Ti eri accorto che sparivo un weekend sì ed un weekend
no, vero?”
“Ma non ti ho mai fatto domande, perché mi sono
sempre fidato di te, idiota…”
puntualizzò Marco, prima di chiedere: “La madre di Davide è la ragazza nell’altra
foto?”
“Si chiama Linda” rispose Andrea, prendendo e
porgendogli la seconda cornice.
“Pensavo che fosse tua sorella… Di tua sorella
mi hai parlato, e di tua madre, e dei tuoi amici… ma non mi hai presentato mai
nessuno: per paura che non ti reggessero il gioco su Davide, vero?”
Andrea assentì con il capo.
“Questo è quasi un sollievo, perché cominciavo
a temere che non mi presentassi ai tuoi amici perché ti vergognavi di me…”
disse Marco.
“Avevo solo paura che qualcuno nominasse Davide
anche solo incidentalmente… Ma insomma, com’è? Mi perdoni perché ho tenuto il
segreto più di quanto fosse opportuno, oppure no?”
“No Andrea” gli rispose Marco. “Se vuoi farti
perdonare, devi sforzarti e trovare qualcosa di meglio dei tuoi occhioni dolci
per ben dispormi nei tuoi confronti.”
“Ho preso la torta-gelato…”
“La torta-gelato è una grande trovata… ma a
quella ci dedichiamo dopo…”
“Dopo
che cosa?”
Seguirono rumori di zip, di bottoni sbottonati,
qualche rantolo ed un sacco di fruscii sui cuscini del divano.
L'episodio 1.
L'episodio 17.
L'episodio 1.
L'episodio 17.
2 commenti:
AH!
Lo sapevo!
Federico
Eh Federico. Eravamo almeno in due a saperlo!
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