Contrariamente a quanto avvenuto con il
messaggio di Carlotta, Marco non moriva dalla voglia di sapere di che cosa
Andrea volesse parlargli. O, per meglio dire, non era curioso in senso stretto
di scoprire se Andrea voleva realmente affrontare con lui un discorso serio, un
qualche problema o un intoppo, poiché temeva che dopo quel discorso il loro
rapporto potesse cambiare. E Marco non voleva assolutamente che qualcosa
cambiasse nel loro rapporto.
Marco era felice esattamente così come stavano
le cose in quel momento.
Era felice che il buongiorno di Andrea fosse il primo sms che riceveva ogni mattina,
quando non trascorrevano la notte insieme, ed era felice, quando passavano la
notte nello stesso letto, di svegliarsi sempre prima di lui e di poter osservare
in silenzio l’espressione serena che aveva dipinta sul volto mentre dormiva.
Era felice che Andrea si facesse trovare ogni tanto fuori dal cancello
aziendale per portarlo a pranzo o a cena o al cinema o ad uno spettacolo
teatrale, senza mai avvisarlo prima, ed era felice quando trascorrevano chiusi
in casa e senza vestiti una buona metà delle loro domeniche. Era felice perfino
quando Andrea non si faceva vivo per un intero weekend e Marco poteva
utilizzare tutto quel tempo libero per prepararsi al loro prossimo incontro.
Era felice addirittura quando Andrea non era il protagonista dei suoi pensieri,
mentre lavorava o era in palestra o con i suoi amici.
Ed era davvero tanto
tempo che non si sentiva così sinceramente, profondamente, sostanzialmente felice.
Quando aveva letto l’sms di Andrea che recitava
semplicemente Devo parlarti, Marco
aveva accusato una netta sensazione di paura: non voleva assolutamente smettere
di sentirsi felice. Ma forse non sarebbe accaduto, forse si stava preoccupando
per nulla.
Oppure, forse, Andrea voleva rivelargli dove
trascorreva i weekend che non passavano insieme, perché a volte accadeva che Marco
lo chiamasse la sera e lui non rispondesse, come mai mentre parlavano o
scherzavano capitasse che, senza un motivo cosciente, Marco provasse la
sensazione che Andrea aveva frettolosamente cambiato o tagliato corto un
discorso.
Per non cadere vittima di cento di queste e di
altre mille paranoie, Marco si costrinse a non pensare all’sms ricevuto e si
concentrò solo ed esclusivamente sulle fatture che stava passando al vaglio.
Verso l’ora di pranzo, il display del suo
cellulare s’illuminò per avvisarlo di una chiamata in entrata. Era Andrea.
“Ma hai ricevuto l’sms?”
“Sì…” rispose Marco. Avrebbe voluto
interpretare la voce di Andrea e scoprire anche solo da quella quale sorte gli
fosse riservata, ma non ci riuscì.
“Allora vieni a cena da me, preparo qualcosa… e
poi… poi si parla un po’” disse Andrea, restando in un equilibrio precario tra il
tono deciso ed asciutto di chi impartisce istruzioni e quello interrogativo di
chi cerca una conferma o un appoggio.
Marco si limitò a rispondere: “D’accordo. Quando
finisco qui, passo da casa a cambiarmi e ti raggiungo.”
“Vuoi che venga io a prenderti?”
“No, lascia stare. Vengo in bici…”
“Ok” rispose Andrea e restò in attesa, come se aspettasse
una qualche domanda.
“A stasera” tagliò corto Marco e chiuse la
telefonata per tornare a rifugiarsi in una totale estraniazione. Aveva lo
stomaco chiuso e rinunciò al pranzo. Non uscì nemmeno dall’ufficio e continuò a
lavorare.
Mentre tornava a casa in bici, finito il
lavoro, e poi dentro il minimarket, si concentrò esclusivamente sulla breve lista
della spesa che non rinunciò a fare.
A casa, s’infilò sotto il getto di una doccia
che durò il tempo che normalmente avrebbe impiegato per farne tre. Poi, prima di
rivestirsi, accese il notebook per controllare posta elettronica, Facebook e l’homepage
di Repubblica.it, senza però trovare
bollette da controllare, né post di amici da commentare, né notizie di cui
approfondire la lettura. Anche scegliere l’abito per la serata si rivelò molto
meno impegnativo e più veloce di quanto in cuor suo sperasse: dato che non
poteva prevedere l’esito della serata né escludere che avrebbe trascorso comunque la notte da Andrea, indossò un
paio di calzoni ed una camicia pulita, infilando nella borsa a tracolla una
cravatta arrotolata, cosicché se necessario potesse andare direttamente da casa
di Andrea al lavoro l’indomani mattina.
Quando si ritrovò nuovamente in sella alla
bici, aveva esaurito le possibili distrazioni e, per non crucciarsi troppo sulla rivelazione
che l’attendeva, pedalò più forte che mai verso la periferia.
Arrivato sotto casa di Andrea, trovò il
cancelletto d’ingresso già aperto ed entrò con la bici nel cortile della
palazzina. La parcheggiò proprio a ridosso del portone, in uno degli appositi
stalli.
Gli venne in mente che per farsi aprire il
portone avrebbe dovuto riattraversare il cortile per suonare il campanello del
cancello, quando invece una donna s’affacciò dal portone per uscire. Si ritrovarono
faccia a faccia.
La donna, una bella donna sopra la cinquantina coi
capelli freschi di taglio ed un golfino sulle spalle, lo squadrò un istante,
prima di chiedergli se intendesse entrare e prima di cedergli il passo per
tenergli aperto l’uscio. Poi, mentre entrava in ascensore, Marco ebbe
addirittura la sensazione che la donna sostasse per controllare il pulsante di quale
piano premesse, ma non alzò lo sguardo per verificare, pensando alla proverbiale
vicina impicciona.
Arrivato all’ultimo piano, suonò il campanello accanto
alla porta di Andrea. Lui gli aprì e parve sorpreso nel ritrovarselo davanti.
“Sono troppo in anticipo?” fu la domanda di
Marco.
“No, è che mi aspettavo fosse mia madre. È appena
andata via e pensavo che fosse tornata indietro perché s’era scordata qualcosa…
Tu non hai suonato giù: come sei entrato dal portone?” gli chiese, prima di
farsi da parte perché entrasse in casa.
“Mi ha aperto una signora che stava andando via…”
rispose Marco, colto da un sospetto.
“Con un golfino grigio sulle spalle? Era mia
madre…” gli confermò Andrea.
Marco avvampò, imbarazzato per il timore di aver
fatto una prima impressione meno che ottima alla madre del suo ragazzo. L’aveva
ringraziata perché gli aveva tenuto il portone, ma le aveva sorriso? Lei aveva
intuito chi fosse lui? Che si fosse accorta che lui l’aveva presa per la solita
impicciona, che gliel’avesse letto in faccia?
“Non c’era bisogno che la cacciassi via” bofonchiò
Marco. “Se le hai chiesto di prepararci la cena, potevi almeno avere la decenza
di trattenerla per le presentazioni…”
“Ma no. Era passata solo un attimo perché le ho
chiesto di ritirarmi un paio di vestiti dalla lavanderia” rispose Andrea. “Era di
fretta. A sapere che stavi già qui sotto, certo che la trattenevo. Mica mi
vergogno. Né di te né di lei.”
“‘Naggia, sempre intempestivo io… Potevo
arrivare un attimo prima o un attimo dopo…?”
Andrea decise di chiudergli la bocca con un
bacio. “Vado un attimo in bagno. Tu non dare troppe occhiate in giro, al
massimo da’ un occhio al sugo che non s’attacchi…”
Cosa
vuol dire: non dare troppe occhiate in giro? si chiese Marco per un momento, risolvendo fosse un modo per suggerirgli
di non far troppo caso al disordine.
In due mesi di frequentazione, era solo la terza
volta che metteva piede in casa di Andrea. E gli garbava parecchio. Sostanzialmente
perché era molto più grande del suo appartamento. Si sviluppava addirittura su
due piani, con una stanza nel sottotetto cui si accedeva tramite una ripida
scala che occupava tutta una parete del soggiorno, e con i due lati esposti dell’appartamento
interamente percorsi da una balconata che offriva una bella vista sul
quartiere e sulle colline a nord della città. Aveva anche due bagni ed una
seconda stanza da letto che –presumeva erroneamente– Andrea probabilmente utilizzava
come studio.
Marco sapeva che l’appartamento era di
proprietà di Andrea, ma non aveva ancora avuto occasione di approfondire se l’avesse
acquistato con i soldi che s’era guadagnato lavorando o se fosse stato aiutato
dalla famiglia. Cosa che in realtà non voleva nemmeno veramente sapere, per non
nutrire ed accrescere quel principio di invidia che provava quando rifletteva sul
dato di fatto che Andrea era nettamente più fortunato
di quanto fosse lui.
Mentre attendeva in soggiorno, Marco notò tra i
ripiani della libreria un paio di foto incorniciate cui non aveva fatto caso nei
precedenti sopralluoghi. Una fotografia ritraeva Andrea in un giardino in posa accanto
ad una ragazza ed in mezzo a loro un bambino: la giovane donna ed il cucciolo d'uomo avevano
entrambi occhi e capelli degli stessi colori del suo ragazzo, cosicché Marco
assunse che si trattasse della sorella e del nipotino; alla sorella Andrea
aveva fatto riferimento in un paio di occasioni, ma del nipotino Marco non l’aveva
ancora sentito parlare. Nell’altra foto, il bambino era da solo in un grande
cortile con un grembiulino azzurro, sicché si poteva dedurre che il nipotino di
Andrea avesse compiuto almeno i tre anni.
Marco udì lo sciacquone del bagno e si ricordò
che gli era stato raccomandato di dare un occhio al sugo. Corse in cucina,
preoccupato di non essere sorpreso a dare troppe
occhiate in giro. E mentre rigirava il ragù, si chiese se Andrea intendesse
cuocere anche lui a fuoco lento, e se ormai non fosse già cotto a sufficienza.
L'episodio 1.
L'episodio 16.
L'episodio 1.
L'episodio 16.
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