Il mercoledì successivo alla gita al lago,
verso metà della mattinata, Marco ricevette un sms da parte di Carlotta che
recitava solamente: Devo parlarti. La
cosa buffa era che Marco aveva chiamato Carlotta la sera prima e che erano
rimasti a conversare di facezie al telefono almeno un’ora.
Cos’è
successo, stellina cara? rispose
Marco.
La replica di Carlotta si fece attendere un’oretta
buona: No, te lo dico quando ci vediamo. Quando?
Marco conosceva Carlotta talmente bene che la immaginò
mentre scriveva e cancellava più volte quel che voleva dirgli ed alla fine, non
trovando le parole giuste, rinunciava a metterle per iscritto. Pausa pranzo insieme? Avviso anche Dario?
Non
dire NIENTE a D!!! Meglio dopo lavoro se non hai impegni con A
Non ho
ancora sentito A per stasera. Cena io e te, vuoi?
Al
giappo. Porta pure A se si fa vivo.
Il giappo
in questione era il ristorante giapponese proprio sotto l’appartamento che
Carlotta condivideva con Barbara e con una terza coinquilina, la Sandra. L’appartamento
si trovava all’ultimo piano di un’elegante palazzina a ridosso del centro
storico; Carlotta vi abitava fin da quando era una matricola universitaria e al
tempo divideva le tre stanze da letto, i due bagni e la cucina con altre cinque
ragazze, tutte quante iscritte a Giurisprudenza: per i primi anni, le
studentesse si alternavano l’una via l’altra ed ogni volta che una lasciava l’appartamento,
perché si laureava o perché trovava una sistemazione migliore, era sostituita
da una qualche collega più giovane. Carlotta divenne a breve giro la veterana
di quella ristretta congrega e fu la prima a potersi permettere di pagare la
quota per una camera tutta sua, quando trovò impiego come segretaria in un
grosso studio legale, impiego che poi la convinse ad abbandonare
definitivamente gli studi. Da diverso tempo, in virtù dell’ottimo rapporto che
l’anziana padrona di casa aveva instaurato con la sua inquilina anziana, l’affitto
era di fatto bloccato; e dato che la signora aveva delegato a Carlotta ogni
decisione in merito agli altri locatari, man mano che le studentesse lasciavano
campo libero, Carlotta aveva optato per ridurre a tre il numero degli
inquilini, uno per stanza: Barbara occupava stabilmente la stanza di mezzo da
ormai quattro anni; Sandra era arrivata da meno di un anno.
Carlotta aveva chiesto più d’una volta a Marco
di diventare il terzo coinquilino, ma lui preferiva la libertà di un
appartamento tutto suo, che peraltro gli costava pure meno della quota che avrebbe
dovuto versare a Carlotta. Ciò nondimeno, un rappresentante del sesso maschile
aveva già alloggiato nell’ambito attico, ma ne era stato cacciato come Adamo
dall’Eden, quand’era stato sorpreso a cogliere il frutto proibito da due
diversi alberi: fuor di metafora, era stato costretto a fare i bagagli quand’era
venuto a galla che andava abitualmente a letto con Carlotta quando Barbara era fuori
casa, e che pure il viceversa.
Il pianterreno della palazzina da qualche anno
ospitava un ristorante giapponese gestito da una famiglia cinese: anche nei
periodi di crisi più nera, di fatto, il livello minimo di sussistenza della
famigliola di origini asiatiche sarebbe stato garantito dalle inquiline dell’ultimo
piano e dai loro ospiti.
Quella sera, quando Marco arrivò, non suonò
neppure al citofono di Carlotta ed entrò direttamente nel ristorante. Carlotta
stava seduta al solito tavolo d’angolo e, non appena la porta si fu richiusa
alle spalle di Marco con un tintinnare di campanellini, si sbracciò per farsi
notare da Mei e farsi portare la loro solita selezione di sushi e di sashimi.
“Andrea non viene?” domandò.
“Cena di lavoro: pare che stia per siglare il
contratto dell’anno…”
“Pare che tu abbia accalappiato un gran bel
partito…”
“Non divagare e dimmi quello che mi devi dire.”
Carlotta restò impietrita da quel tono
sbrigativo ed autoritario.
“Tanto l’ho capito che Dario ne sa più di me” riprese
Marco, “e ciò non è affatto bello, dato che sono io –ripeto: io– il tuo amico del cuore…” aggiunse poi con una
vocina fanciullesca.
“Dario?” domandò Carlotta, nervosamente. “Cosa
t’ha detto?”
“Non m’ha detto niente. Ma a pranzo mi ha
chiesto di te, e lui non mi chiede mai di te…”
“E cosa ti ha chiesto?”. C’era un che di
supplichevole nel tono della domanda di Carlotta.
“Se t’avessi sentito dopo sabato…”
“E cosa gli hai detto?”
“Che ieri sera siamo stati al telefono un’ora. Dell’invito
di stasera non gli ho detto niente perché hai scritto di non dirgli NIENTE…
Però ora mi devi dire che cosa c’è sotto, perché qua c’è sotto qualcosa: io me
lo sento…”
Carlotta attese che Mei posasse sul tavolo il
grande piatto con quello che le aveva chiesto e che si allontanasse, poi, senza
guardare Marco in faccia e con un tono appena percettibile di voce e scandendo
per bene ogni sillaba, disse: “Io e Dario abbiamo scopato…”
Marco impiegò qualche istante a mettere insieme
quelle poche sillabe nella sua testa in modo che formassero un discorso
compiuto. Poi, per essere certo di non avere frainteso, chiese: “Insieme?”
“Ma no. Ognuno per conto suo…” replicò Carlotta
alzando gli occhi al soffitto.
“OK. Intendevo dire: com’è potuto accadere?”
Carlotta giunse le mani a piramide, poi prese a
raccontare: “Quando siamo tornati dal lago, abbiamo lasciato Barbara ad una
festa e Sandra non era in casa. Gli ho chiesto di salire per tirare tardi insieme. Ci siamo scolati della tequila, e a quel punto gli ho detto che era
meglio se restava a dormire sul divano. Poi invece è crollato sul mio letto, ci
siamo detti che tanto non sarebbe successo niente ed invece…”
“Ed invece è successo…?”
Carlotta assentì con il capo. “È cominciato
come un gioco. Eravamo completamente fuori di testa. Non facevamo che ridere e
stuzzicarci ripentendo tanto non succede
niente, ed invece…”
“Ed invece è successo…” ripeté Marco, senza più
alcuna ombra d’incredulità nella voce. “E adesso?”
“E adesso...?
Cosa vuol dire e adesso?”
“No vabbè, intendo dire... la mattina dopo, che
avete detto?”
“Che dovevamo dire, Marco? Io avevo un mal di
testa tale che, francamente, mi irritava anche solo sentirlo sussurrare…”
“E quindi…? Ne avrete parlato, poi…” la incalzò
lui.
“Non ne abbiamo parlato. La mattina dopo è andato
via quatto quatto, per non farsi sentire dalle altre, e non l’ho più visto né
sentito… Credo che sia troppo imbarazzato per farsi vivo…”
“Imbarazzato? Perché? Ha fatto cilecca?”
“Macché cilecca, altro che cilecca… Erano ere
glaciali che non godevo tanto…”
Marco, che stava giusto giusto prendendo il
coraggio di portarsi alla bocca il primo uramaki della serata, ristette e
replicò: “L’hai detto anche di Paolino…”
“Lascia stare Paolino: non c’è confronto”
rispose secca Carlotta.
“Ed allora, di cosa dovrebbe essere
imbarazzato?”
“Probabilmente non aveva mai preso in
considerazione l’idea che tra noi potesse succedere qualcosa, ed ora non sa
come comportarsi…” rifletteva Carlotta.
“Dario?” replicò Marco. “Dario ha fantasticato
di portarsi a letto ogni donna appetibile che abbia incontrato, con la sola
eccezione della madre –spero–. Credimi, lo conosco da più tempo di te e di
queste cose ne abbiamo parlato…”
“Anche di me, avete parlato…?”
“Parlato di te no, ma… ti sei mai accorta di
tutte le volte che s’incanta a guardarti le tette…?”
Carlotta si sciolse in un sorriso, a mezza via
tra il beato ed il beota. “Oh sì” disse avvampando, “le mie piccole tette gli piacciono
proprio tanto…”
Marco depose definitivamente l’uramaki che
teneva stretto tra le bacchette di legno. Cercando di cambiare argomento, e di
togliersi dalla testa l’immagine di Dario che succhiava i seni di Carlotta
fino a morirne, disse: “È terribile… finirete come Ross e Rachel… un
tira&molla di stagione in stagione, e noialtri tutti a farvi da comprimari
in attesa che decidiate se mollarvi o sposarvi…”
“Non so…” fece Carlotta, che invece aveva
cominciato a mangiare il suo sashimi con una discreta voracità. “Può darsi che
non accada niente… Voglio dire: ci siamo divertiti non poco ma, forse, s’è
trattato di una cosa molto accidentale, che non si ripeterà più e che non
lascerà conseguenze…”
“Vuoi dirmi che non avresti problemi se tutto
restasse esattamente come prima?”
“Marco, lo sai che sono una donna pratica e con
i piedi per terra… e al momento non provo nessuno sfarfallio allo stomaco
pensando a Dario, te lo giuro…”
“Ce l’ha davvero così grosso come sembra?”
“Oh sì. E sa anche come e dove usarlo…”
“Ok ok” la fermò Marco. “Mi racconterai i
dettagli più tardi. Ora m’è venuto un appetito furibondo…”
La mattina successiva, Marco, che ancora non
era riuscito ad incrociare Dario e a complimentarsi con lui per le sue grosse doti, ricevette un sms da parte
di Andrea che recitava solamente: Devo
parlarti. La cosa buffa, oltre al fatto che il messaggio era identico a
quello di Carlotta del giorno avanti, era che Marco, dopo aver salutato l’amica
la sera prima, aveva chiamato Andrea e che erano rimasti a conversare al
telefono per oltre un’ora.
L'episodio 1.
L'episodio 15.
L'episodio 1.
L'episodio 15.
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