Poco più d’un paio d’anni fa, poco prima che mi trasferissi in città, sono entrate nella mia vita ed hanno trovato il loro posto in un vaso sulla mia scrivania. Le avevo anche battezzate, una per una: Grazia, MariaGrazia, Graziella, Graziana, Graziosa e Grazielcazzo, in rigoroso ordine dalla più alta alla più minuta.
Un paio di mesi dopo, Grazielcazzo se n’è andata: era la testina più piccola, d’un verde chiaro chiaro, poche spine, palesemente diversa dalle altre cinque sorelle maggiori che nel vaso quasi la soffocavano. Devo essere sincero: fin dal primo incontro non avrei scommesso un centesimo che avrebbe visto l’estate.
Poi un anno più tardi, inaspettatamente, da un giorno all’altro, anche Graziosa è trapassata: un venerdì era in piena forma, dello stesso colore verde scuro delle altre, ed il lunedì successivo era diventata violacea; il martedì aveva già perso tutto il suo turgore e, carezzandola, le spine ti restavano conficcate nelle punte delle dita senza fare però alcun male. Con le pinze l’ho levata dal vaso, sottraendo il suo triste addio alla vista delle sorelle.
Galyna, la collega che mi siede di fronte, mi ha rimbrottato, sostenendo che davo loro troppo da bere: “Sono piante grasse,” ha detto, “il loro destino è quello di patire la sete” (aggiungendo in separata sede, perché loro non la sentissero: “Lo so bene io, sai quante piante grasse mi sono morte…”). Fatto sta che ho cominciato ad allungare gli intervalli tra un’abbeverata e la successiva.
A lungo andare le quattro teste di cactus superstiti si sono asciugate, sgonfiate, ma raddrizzate, cresciute, con Graziella che aveva addirittura superato in altezza MariaGrazia: insomma sembrava che avessero trovato il loro equilibrio. Finché non mi sono accorto che avevano cambiato colore, e da un bel verdone scuro le ho scoperte ricoperte di macchie bianche, quasi una patina opaca. Galyna le ha guardate e mi ha rimbrottato: “Dai loro troppo poca acqua,” ha detto, “la terra nel vaso è troppo secca”.
“Gnè, ma vaffanculo”, le ho risposto.
Poi però, la settimana scorsa, anche Graziana ha cominciato a stare poco bene: nulla di diverso a prima vista, ma io capivo che qualcosa non andava e, purtroppo, non sapevo se dare a lei e alle sorelle nuova acqua potesse nuocerle o salvarla. Oggi ho trovato Graziana avvizzita, incapace di stare ritta, tristemente viola… È finita.
E mi sono rimaste solo tre teste di cactus…
3 commenti:
noooooooooooooo...eppure graziealcazzo solitamente altrove sono inavvertitamente le più mordaci e imperterrite! che dire? vai avanti, non fargli mancare il tuo amore.
p.s. ma siamo sicuri non si tratti di sabotaggio?
Curiosa questa cosa, anch'io in ufficio ho tre piante di nome Grazia, Grazia Letizia, Grazia Eufemia e Grazia Deledda. Ma, contrariamente alle tue appartengono alla specie dei bambù, quindi sempre immerse in acqua.
Certo che tu sei proprio un pianticida...Non è che a forza di sentire le cattiverie che vi riferite in ufficio si sono risentite e sono state colte da malore?
A_A, quando si tratta di battezzare sembra proprio che noi si sia in una certa sintonia ;)
Mauro, secondo me si tratta proprio di un sabot: in quell'ufficio c'è un sacco di gente che ha l'invidia del cactus...
Posta un commento