giovedì 30 giugno 2011

La pioggia, l'afa...

...Mi giro e rigiro nel letto, ma finalmente ho capito tutto:
non è l'Amore che può cambiarti la vita se tu non vuoi cambiarla.

lunedì 27 giugno 2011

Scorrazzava l'anno

Avevo all'incirca tredici anni e ricordo che stavo seduto sulla panca in chiesa, con il parroco nel vivo della sua omelia, e che per non addormentarmi origliavo il discorso delle due dodicenni sedute dietro.
La prima: "Ho paura di essere una pedofila"
La seconda: "In che senso?"
Pr.: "Mi piace da morire NomeCognome1, che c'ha due anni meno di me"
Sec.: "Ah, ho capito, ma ti sbagli. I pedofili sono quelli che c'hanno la manìa di baciarti i piedi, come NomeCognome2..."
Pr.: "Ma che cosa dici?!?"
Sec.: "Mi ha detto NomeCognome3 che c'ha questa fissa di toccarle i piedi mentre trombano..."
Pr.: "Beh allora non sono proprio pedofila, per niente..."
Sec.: "Eh già. Quello che intendevi tu è pediatra"
Pr.: "Che???"
Sec.: "No aspe'... volevo dire pederasta."
Non so perché quest'episodio mi sia venuto in mente oggi, mentre montavo la crema per la torta. E giuro che è successo per davvero.
E non so se sia il caso di specificare che una delle due era mia sorella LadyVina.
Però è parecchio che non ho contatti con dodicenni e mi chiedo se quelli di oggi siano messi meglio.

venerdì 24 giugno 2011

Forse occorre tornare dall'oculista...

...quando al reparto DVD del supermarket, chiedi permesso al cartonato di Checco Zalone che ti ostacola il passaggio.
Due volte  -_-"

giovedì 23 giugno 2011

Consolianamente: Elettra, ovvero di prostitute e di amori diversi

Nell'autunno del 2009 la Carmen pubblica quello che ad oggi è il suo ultimo album di inediti, Elettra [di cui riallego copertina autografata], che sarà seguito un anno più tardi dal primo best of della cantante catanese, Per niente stanca.
La Cantantessa non è nuova a citazioni dal mito, classico e non, e dopo essersi fatta ispirare dalle figure di Narciso, di Orfeo e di Eva, tra gli altri, per il titolo del nuovo lavoro sceglie di rievocare la mitica Elettra, protagonista di una tragedia familiare più volte ripercorsa nei secoli da artisti e drammaturghi: figlia e sorella di eroi, Elettra non esita a farsi complice del fratello Oreste nell'omicidio della propria madre per vendicare il brutale assassinio del padre Agamennone. Nel nostro caso, questa figura leggendaria di donna forte ed al contempo vittima della propria sorte, fornisce alla Consoli poco più di uno spunto onomastico: il personaggio di Elettra raccontato in un brano dell'album che poi ne ha preso il nome, è ben lontano da quello classico. Tuttavia essa appare una scelta tutt'altro che casuale, considerando che, al momento della pubblicazione, la cantante catanese ha da poco smesso il lutto per l'improvvisa perdita del padre, un dolore rievocato ed esorcizzato in uno dei brani più noti di quel disco, il secondo singolo Mandaci una cartolina.
Ma accennavo prima alla canzone Elettra, di cui la Consoli firma testo e musica; brano che, pur dando il titolo all'intero album, resta (ed è un peccato!) una delle tracce secondarie, non ricomparendo nemmeno nella successiva raccolta. La protagonista della canzone, l'ennesimo ritratto femminile consoliano, è una prostituta che commette lo sbaglio peggiore per una che fa quel mestiere: si innamora di un cliente, il quale, ben conscio della situazione, non esita ad illudere la donna per trarne un proprio tornaconto di piacere. Elettra si cimenta in un'audace acrobazia mentale, spera di essere finalmente amata alla luce del giorno, sogna quel viaggio imprevisto, la fuga dal solito itinerario costretto alla morsa dell'abitudine, e ne rimarrà amaramente ed inevitabilmente delusa.
La canzone va probabilmente riletta come una metafora di tutti quegli amori che la morale comune vorrebbe venissero consumati nella penombra, quegli amori "diversi" per cui si deve essere disposti a lottare, talvolta anche da soli contro tutto e tutti. Ed è per questo che Elettra è e rimarrà sempre uno dei miei pezzi preferiti.

martedì 21 giugno 2011

Ricky Martin su VF


Mentre guardo le foto del servizio, mi chiedo come si faccia a pensare che non si tratta di cosa buona e giusta. E mi chiedo se, in qualche modo, potrà toccare anche a me.


lunedì 20 giugno 2011

Anna Oxa - DI QUESTO AMORE

(Falagiani-Carnesecchi-Oxa) dall'album Ho un sogno, 2003



Di questo amore e di noi che cosa resterà? 
Di un pomeriggio a Bombay, di un viaggio in India 
Sembriamo due estranei da un po' di tempo in qua 
E ora dei nostri k-way cosa ci se ne fa?

Di tutto il nostro amore non resta che un'estate 
Fatta di bagni in mare, da prendere a pedate 
Perchè è un amore stretto come una giacca a vento 
Di due misure sotto, prestata per l'inverno 
Ma io non me la metto così starò già meglio

Di questo amore e di noi non mi interesso più
Sono già oltre, lo sai, oltre la linea blu 
Ciò che farò d'ora in poi è amare un po' più in là
Senza riserve né nei, senza formalità

Di tutto il nostro amore non restano che rate 
Di cose da pagare e un mutuo in fondo al mese 
Ti lascio lo scontrino della lavanderia 
Riprenditi i calzini, tu che volevi autonomia 

E adesso ho la certezza che questo non è amore 
Comunque ti ringrazio mentre mi rendi il cuore 
Di tutto questo amore, di tutto il nostro amore...
Di tutto un altro amore che troverò in futuro
Un'altra concezione, qualcosa di più raro  

sabato 18 giugno 2011

Masticami!

Biondo, abbronzato, non troppo alto, tutt'altro che mingherlino e lavora nel nuovo negozio di gomme e caramelle al centro commerciale.
Da stasera in poi alle feste io sono quello che procura gli zuccheri.

giovedì 16 giugno 2011

Senti chi parla

Edgar: "Dove ti porta la mamma in vacanza?"
TopO: "Non t'o dico."
Edgar: "Come si chiama la tua morosa?"
TopO: "Non t'o dico."
Edgar: "Dove hai nascosto la palla?"
TopO: "Non t'o dico."
Edgar: "Ma da quando e da chi hai imparato a rispondere sempre non t'o dico?"
TopO: "Non..."
Edgar: "No no, tranquillo, lo so che non me lo dici."
TopO: "Ma 'u è andata la mamma?"
Edgar: "Non te lo dico."
TopO: "Quando torna la mamma?"
Edgar: "Non te lo dico."
TopO: "Che musso che sei, zio..."

martedì 14 giugno 2011

Tutti insieme appassionatamente

Nel nuovo condominio è un susseguirsi di eventi mondani ed ogni occasione è buona per riunirsi sotto il portone: finita la moda dei tête-à-tête al lume dei display dei cellulari nell'ascensore bloccato per l'ennesimo guasto, ora si è pensato ad incontri meno claustrofobici e più salottieri. Ad esempio, venerdì scorso, all'ora di cena, hanno organizzato la benedizione del parroco per il condominio e per tutti i condòmini; giovedì prossimo invece è in programma la deblattizzazione (ma è gradita la prenotazione).
Io lo so che son tutti espedienti architettati dalla zitella ficcanaso del primo piano per conoscermi... ma anche stavolta mi vedrò costretto a declinare.
E per la cronaca: no, state tranquilli, personalmente non ho visto né blatte né scarafaggi né nel mio appartamento né in altre parti del condominio. Almeno fino ad oggi.

lunedì 13 giugno 2011

Paparazz-singer

Giù al Circolo DueParole, hanno messo in giro la voce che Ratzinger fosse molto deluso: Giovanardi, la Binetti e tanta altra bella gente s’erano spesi in prima persona perché dal palco dell’EuroPride LadyGaga gli inviasse un saluto speciale, una dedica solo per lui. Lui non stava nella pelle: dicono che abbia perfino fatto una piazzata a padre Georg, che gli aveva organizzato la baracconata coi Rom proprio lo stesso giorno della baracconata dei gay (testuali parole, mi hanno giurato!), facendogli perdere l’inizio della sfilata.
Quando LadyGaga è apparsa sul palco al Circo Massimo, lui, davanti alla tivù, ha provato l’estasi per la prima volta dagli anni del seminario; ci teneva davvero tanto ad essere salutato in mondovisione, dimostrare che contava ancora qualcosa anche al di fuori dei confini dell'Italietta ingrata e laicista, eppure niente, nessun “Ciao JoeBennet”, nessun “I love you Papi”, nemmeno un dito medio alzato per fargli capire in codice che lo stava pensando…
Mi han detto che, passata la nottata a rigirarsi tra le lenzuola, il mattino dopo, subito dopo le Lodi, le avrebbe scritto via Facebook un messaggio del genere “Cara Gaga, sono daffero daffero delusa. Io mi aspettafa un trattamento particcolare per tua fan numbero uno! =’/ Papa Ratzinger”.
Il giorno dopo, avrebbe ricevuto l’attesissima risposta: “Cara Paparazz-singer, mi spiace che tu sia rimasta delusa ma, ‘sti cazzi, non potevo certo salutare i miei amici di Facebook uno per uno. Avevo a disposizione solo una quarantina di minuti e tutti si aspettavano da me un discorso in favore dei nostri amici GLBT. Spero che tu l’abbia ascoltato ed apprezzato nonostante la delusione. Ti voglio un mondo di bene, in qualunque modo tu sia nata. P.S. Adoro il tuo nickname, ne sono molto lusingata”.
Si dice che Ratzinger, appena terminato di leggere il messaggio, abbia intonato con voce angelica il Sanctus: finalmente si sarebbe sentito amato per quello che era. Non poteva immaginare che lo stesso messaggio era stato copiancollato ed inviato a Judas95, a LordGaGaxxx, a BornYourWay e ad un’altra decina di fan italiani.

domenica 12 giugno 2011

Un venerdì sera

È passata da poco l'una quando lascio sotto casa loro una coppia d'amici. Sono contento di essermi preso la responsabilità della guida, perché vino e birra sono scorsi a fiumi durante la serata, che abbiamo trascorso fuori città in una compagnia insolitamente allargata di amici e di amici di amici. Sono contento di averli avuti in macchina, perché sulla strada del ritorno abbiamo parlato tranquillamente di politica e di berlusconismo (che non è affatto la stessa cosa che parlare di politica); se non ci fossero stati loro con me, avrei passato una mezz'ora buona al volante a rimuginare sulla mancata rissa alla festa, a soppesare le dure frasi che ho pronunciato e a rammaricarmi per quelle non dette. Solitamente non discuto di politica, ma il vino ha sciolto la lingua ad uno dei presenti, che da sobrio si dichiara un tiepido berlusconiano, ma da alticcio s'è palesato il fervente fascistello quale lo sospettavo; e così ha pensato bene di mettersi a punzecchiare un po' tutti quelli che avevano idee palesemente avverse, rovesciando in politica discorsi che nulla vi avevano a che fare. Insomma, cercava provocatoriamente uno scontro, non so a quale pro, se non uno sfogo perché, dopo i ballottaggi, evidentemente ancora gli rodeva il culo. Era talmente sgradevole che alla fine non sono riuscito a non rispondergli a tono, e graziadio ero sobrio sennò finivamo a sputi. Ma se è difficile avere un confronto verbale con un berlusconiano sobrio, potete figurarvi che razza di discorsi escono dalla bocca impastata di un berlusconiano ubriaco: robe che neanche la Santanché ai tempi in cui ancora aveva il ciclo.
Quando scendo dall'auto però tutto è lontano, l'umore è buono. Anche il fatto di non aver trovato il parcheggio sotto casa è in quel momento un fastidio leggero. In realtà un posto c'era, stretto tra un ingombrante furgone e la Golf rossa dei miei vicini di pianerottolo (la coppia della lavatrice), ma al secondo tentativo fallito di infilarmici, rinuncio per non perdere la pazienza.
La strada su cui si affaccia il mio condominio è a senso unico e sfocia su una delle strade principali del quartiere; la traversa successiva è un altro senso unico, in direzione opposta, ed è lì che m'infilo e subito trovo un comodo posto per la mia macchina. Raccolgo un paio di cose, chiudo l'auto e mi dirigo verso casa.
La distanza tra gli angoli delle due traverse corrisponde alla lunghezza di una fermata d'autobus, un passo carrabile e quattro posteggi. Ed è in questa distanza che si svolge la mia successiva mezz'ora.
Qualche passo avanti a me camminano tranquille tre persone. Sul lato opposto della strada c'è un locale ancora affollato, con un piccolo plateatico all'aperto dove almeno una decina di avventori si stanno godendo la frescura della notte con i bicchieri in mano. Lancio un'occhiata per vedere se riconosco qualcuno e poi infilo la testa nella mia tracolla in cerca delle chiavi di casa. Quando riemergo dal borsello, un quarto personaggio ha avvicinato il terzetto avanti a me: dice qualcosa che non afferro e riesco a mettere a fuoco che è ubriaco fradicio, prima di vederlo brandire una bottiglia vuota e con essa colpire al volto uno dei ragazzi. Tutto sembra congelarsi negli attimi in cui i cocci di vetro cadono a pioggia sul marciapiede.
Il ragazzo colpito, colto evidentemente di sorpresa, all'inizio non dice una parola né accenna una reazione, mentre il sangue comincia a scendergli copioso dall'occhio sinistro. Io ho già in mano il cellulare quando lo sento chiedere con un'improvvisa rabbia perché? e lo vedo assestare uno spintone al suo aggressore. I due amici con cui s'accompagnava, un ragazzo ed una ragazza che gli camminavano un passo avanti ed avevano proseguito senza accorgersi del quarto uomo, realizzano quel che è successo e tornano indietro: lui affronta a muso duro il nemico che, ho il sospetto, ancora non ha nemmeno realizzato quanto ha appena combinato; la donna soccorre l'amico ferito e poi comincia ad invocare un'ambulanza. "Chiamo il 118, tranquilli" dico, e così faccio; l'operatore dice che manderà qualcuno, ma mi riaggancia prima che abbia la prontezza di suggerirgli di mandare anche una qualche pattuglia. I toni tra i quattro infatti cominciano ad alzarsi. Intervengo per allontanare il ragazzo ferito, lo faccio convinto a calmarsi e a sedersi sul muretto; ho paura di guardare cosa gli è stato fatto, ma con mio sollievo l'occhio è intatto e lo rassicuro che si tratta solo di un brutto taglio sul sopracciglio, che però continua a sanguinare. Anche il suo amico mi dà l'idea di essere alterato dai fumi dell'alcool, ed alza la voce e le mani sull'aggressore che non sa come reagire. Ho la lucidità di valutare che, disarmato della bottiglia ed intontito dall'ubriachezza, il tizio non rappresenta più un pericolo ed allora intervengo, con la ragazza, per frenare la rabbia ed evitare che la situazione degeneri oltre. Lei mi chiede ripetutamente se ho chiamato la polizia, insiste, e mi convince a chiamare anche il 113. E mentre sono al telefono con la polizia e do loro, involontariamente, le spalle, ecco che, non so da chi, cominciano a piovere le botte. "Qui c'è una mezza rissa..." dico all'operatore, che replica "Una rissa o una mezza rissa?". "Si picchiano per strada" rispondo e penso che non mi pare il momento di sottilizzare: sono tutti per terra, compresa la ragazza, in mezzo alla strada che si menano. Mantengo il sangue freddo ed uno per uno li faccio allontanare.
Il coglione ora fa la parte della vittima e si rifiuta di alzarsi da terra, anzi si trascina in mezzo alla strada. Può essere che, nella mezza rissa, abbia anche sbattuto la testa o comunque si sia fatto male sull'asfalto, ma non mi interessa minimamente; qualsiasi sia stato il motivo della violenza, il ragazzo ferito ha dei bellissimi e tristissimi occhi verdi per cui avrà tutto il mio appoggio e le mie attenzioni.
Passa qualche auto, che rallenta appena passando oltre. Ed in quei pochi minuti di calma prima dell'arrivo dell'ambulanza, realizzo che nessuno si è avvicinato, né un passante né uno degli avventori del bar, lì a pochi passi, che pure non possono non aver visto e sentito tutto. Tutti si tengono a debita distanza, nessuno si è lasciato coinvolgere; nel frattempo sono comparsi da chissà dove due amici del ragazzo ubriaco, hanno un fare strafottente e non mostrano alcuna compassione per il ferito. E sebbene non si degnino di levare le mani dalle tasche, temo che da un momento all'altro possa scoppiare una vera rissa.
Scopro che tutto sembra essere nato dal rifiuto di offrire una sigaretta, cosa che in questa città rievoca fantasmi ed una lezione che nessuno vuol proprio imparare.
Alla fine arrivano l'ambulanza ed anche la polizia. Ferito e feritore vengono caricati su un'unica autolettiga dopo che ad entrambi è stata strappata la promessa di non alzare le mani l'uno addosso all'altro.
La serata finalmente finisce; mentre salgo le scale, rifletto che se avessi trovato libero il mio solito posteggio, sarei rincasato senza accorgermi di nulla e senza sapere mai cos'era accaduto. Proprio sotto casa mia.

venerdì 10 giugno 2011

Marina Rei - DUE MONDI LONTANI

(Marina Rei - Filippo Gatti)
 

 
Fuggiamo via senza guardarci accanto
Rischiando tutto, rischiando ad ogni costo
Troppo veloci per riprenderci

Così sinceri ci siamo fatti male
Mantenendo le distanze
E mi chiedi di essere felice
Invece di stringermi a te

E tu cosa ne dici?
Mentre siamo sdraiati vicini
E sogniamo due mondi lontani
Senza mai confessarcelo

E all'improvviso è arrivata l'estate
Poche parole, il silenzio del mare
Tutto sembrava sorprenderci

Ancora una volta ci siamo ritrovati
Nel punto in cui avevamo lasciato
Se vogliamo proteggere il cuore
Portando una maschera

martedì 7 giugno 2011

Confido -con orgoglio- che presto TopO farà di meglio

Una volta, da bambino, restai con la testa incastrata in un cancello.
Ero lì a rigirarmi nel letto iersera e non riuscivo a prendere sonno quando, non so più per quale passaggio di un flusso di coscienza, mi si accende il ricordo di quell'esperienza; più che altro, mi torna vivida la sensazione che provai, di essermi ficcato in un guaio senza colpa d'altri che la mia e di essere lì esposto al pubblico ludibrio come in una gogna medievale.
Non ricordo quanti anni avessi, non riesco proprio a datare il fatto. Accadde nel giardino di un'anziana amica di mia madre, che ora non c'è più, e forse oggi non c'è più nemmeno il giardino. In un angolo c'era questa bellissima palizzata di legno, dipinta di color mattone e ricoperta di grandi rose, ed io e mia sorella -chissà più quale gusto ci provassimo- da tempo immemore ci sfidavamo ad infilare le teste tra un palo e l'altro per sbirciare oltre, nel giardino dei vicini. Solo che, con il passare degli anni, noi e le nostre teste crescevamo, non così gli spazi tra un paletto e l'altro. E toccò a me infilare la testa per l'ultima volta e scoprire di non riuscire più a liberarmi agilmente. Naturale poi che, se infili qualcosa in un buco, come c'è entrata se ne esce; ma per un po' non riuscii a trovare la giusta angolazione e nonostante gli sforzi la palizzata non mi restituiva la libertà. Mia sorella andò a chiamare mia madre e la padrona di casa, che stavano dentro a sorbirsi il caffè, ed io insistevo per liberarmi prima che venissero a tirami fuori. Alla fine, ebbi la meglio sul cancello, ma non prima che mia madre s'affacciasse alla porta e mi vedesse, e lanciasse il suo grido di rimprovero.
Un'altra volta, databile stavolta con certezza prima dell' '85, l'anno del trasloco, giocavo con mia sorella nel giardino della mia prima casa, ognuno su un'automobile a pedali su cui entrambi faticavamo già a sfrecciare. Ed ad un certo punto mi venne in mente di simulare un incidente d'auto come quelli che vedevo in tivù, nelle puntate dei CHiPs. Afferrai i lati della mia macchina e, con studiata lentezza (un po' per imitare l'effetto slow motion dei telefilm, un po' per non farmi male, ma soprattutto per non sporcarmi d'erba i vestiti) mi rovesciai su di un fianco e mi finsi privo di sensi per terra. Mentre mia sorella mi contemplava ammirata, la vicina di casa, affacciatasi al balcone giusto giusto in quel momento, con il suo marcatissimo accento umbro-marchigiano, prese a chiamare mia madre per nome (e, per una precisa ragione, quasi sembrava invocasse la Madonna), perché anche lei s'affacciasse e scendesse a vedere se m'ero davvero fatto male. Ricordo perfettamente quegli istanti, io ostinatamente immobile nel prato, il profumo dell'erba ed il tepore della terra morbida, mentre pensavo a quanto ingenua -ma non era la parola che pensai allora- fosse la signora N. a non accorgersi della mia finzione, ed al contempo mi rallegravo delle mie evidenti e spiccate doti recitative. Fino all'urlo di rimprovero di mamma.
Mi sono sforzato, eppure questi sono gli unici due episodi della mia infanzia che ricordo, senza avere l'ausilio di una qualche fotografia scolorita dal tempo.

sabato 4 giugno 2011

e gira tutt'intorno la stanza

Credo proprio di essermi infilato in una vorticosa spirale di depressione, noia, scazzo, disfattismo, autocommiserazione, fuga dalla realtà, pessimismo cosmico, stanchezza, apatia, onicofagia, stipsi, ipersensibilità alla luce del giorno, fastidio verso l'umanità intera, e anche verso i piccioni che vogliono a tutti i costi fare il nido sul mio balcone, che da oggi verrà ribattezzato piccionaia.
...Fortuna che ho visto periodi peggiori.